Ghiaccio bollente

Il rapporto “Ghiaccio bollente” del WWF afferma come nelle mani dell’uomo il pianeta si stia letteralmente squagliando; dai poli, Artide e Antartide, dove l’innalzamento della temperatura si fa maggiormente sentire, ai ghiacciai “alpini” quali l’Himalaya, la Patagonia, l’Alaska, gli Urali e il Kilimangiaro, veri e propri serbatoi d’acqua dolce. Dati alla mano, dal 1962 ad oggi le Alpi, ad esempio, hanno perso il 40 % dei loro ghiacci (da 519 a 368 km²) e i ghiacciai “alpini” già nominati hanno subito una riduzione fino al 75 %. Questi fenomeni non devono essere considerati remoti dall’essere umano; la riduzione dei ghiacciai va ad intaccare le nostre risorse idriche e l’equilibrio degli oceani, tanto da minacciare 360 milioni di abitanti delle zone costiere (fino al 70 % di esse in tutto il mondo) che rischierebbero di venire sommerse. Inoltre numerose specie animali già in difficoltà a causa dello scioglimento dei ghiacci, come orsi polari e balene, potrebbero essere già estinti entro il 2030.

A cura di M.B.

DA “LA REPUBBLICA”

Allarme oceani

Il WWF e la Zoological Society di Londra si uniscono per denunciare, attraverso il rapporto “Living Blue Planet”, una situazione insostenibile per i nostri oceani, che continua a peggiorare.

Il rapporto sconvolgente indica come dal 1970 al 2012 (soli 40 anni) la popolazione di mammiferi marini e di pesci sia calata del 49 % e quella di tonni, sgombri , sardine e palamite addirittura del 75 %. Le cause di tutto ciò sono la pesca incontrollata, l’inquinamento e le microplastiche, sterminatrici di fauna acquatica, insieme all’acidificazione delle acque (causata dall’anidride carbonica) che erode la popolazione di placton, l’organismo alla base dell’ecosistema marino.

Le conseguenze di questi crimini perpetrati contro gli oceani, fra non più di 10 anni, sarà l’estinzione di migliaia di specie marine, con ripercussioni gigantesche anche sull’essere umano, a partire dall’emigrazione di massa dalle aree costiere il cui mezzo principale di sussistenza è la pesca.

A cura di M.B.

DA “LA STAMPA”

Tempeste di sabbia in Medio Oriente

In quest’articolo si parla delle allarmanti tempeste di sabbia che si sono susseguite per giorni nel Medio Oriente, principalmente in Siria, ma anche in Libano, Israele e Giordania.

La straordinarietà di quest’evento è sottolineata da Danny Rabinowitz, uno dei maggiori esperti israeliani di relazioni tra clima e eventi politico-sociali; non si tratta infatti solo della provenienza (le tempeste di sabbia di solito si formano nelle aree desertiche del Sahara e in Egitto), della durata e della strana collocazione stagionale del fenomeno (di solito eventi simili si verificano in inverno e primavera), ma anche delle cause di tutto ciò. Pare che queste tempeste siano da ricondurre ad uno spopolamento delle campagne da parte dei contadini siriani in fuga dalla guerra, in quanto i campi coltivati in quelle zone sono l’unico freno naturale per le tempeste di sabbia.

Gli effetti di queste ultime sulla popolazione non hanno tardato a manifestarsi: 80 persone ricoverate in Libano con problemi respiratori e allerte diramate in Israele, Giordania e persino Cipro per coloro che soffrono di malattie cardiache o respiratorie.

A cura di M.B.

DA “LA STAMPA”

I nuovi profughi del clima

Il cambiamento del clima sta diventando una delle cause di migrazione dei popoli da luoghi in cui siccità, alluvioni e carestie fanno e faranno sempre di più muovere le persone quasi quanto guerre e povertà: questo è l’allarme lanciato dall’ecologista Jeffrey Sachs dal meeting internazionale su “Giustizia ambientale e cambiamenti climatici” a Roma. L’ecologista dell’Earth Institute della Columbia University, impegnato sin dagli anni ’90 a contribuire alla consapevolezza sui cambiamenti climatici, stima che circa 250 milioni di persone emigreranno nei prossimi anni a causa di condizioni meteorologiche estreme. Gli impegni presi negli anni ’90, sottolinea Sachs, tra cui il protocollo di Kyoto, sono stati disattesi e rifiutati da paesi come gli Stati Uniti e la Cina, da soli responsabili di milioni di tonnellate di emissioni di CO in più rispetto alla soglia prevista. Senza una regolamentazione e un taglio netto di queste emissioni, esse cresceranno fino al 8 % in più entro il 2030 (stima L’Agenzia internazionale per l’Ambiente), con effetti drammatici specialmente per i paesi più svantaggiati, dai quali sempre più persone emigreranno.

A cura di M.B.

DA “LA STAMPA”

Profughi e sfollati del clima

Guerre e povertà non sono gli unici fattori a spingere i popoli ad emigrare: secondo uno studio dell’Alto Commissariato Onu per i rifugiati, il numero di profughi per cause ambientali/climatiche sta crescendo a dismisura, e potrebbe raggiungere fino a 200 milioni entro il 2050.

Il cambiamento del clima colpisce e colpirà sempre più duramente i paesi sottosviluppati, in quanto esso renderà queste zone ancora più inospitali e povere a causa della desertificazione e dell’aumento del livello degli oceani. Le emigrazioni per motivi ambientali, a partire dagli anni ’90, sono già una realtà quantificabile in 27 milioni di persone sfollate, di cui l’80 % provenienti dai paesi più poveri.

Gli eventi meteorologici estremi e i disastri naturali sono più che triplicati negli ultimi 30 anni e non si tratta di eventi sporadici ma di un progressivo deteriorarsi delle condizioni ambientali che porterà ad una graduale e massiccia emigrazione.

A cura di M.B.

DA “LA REPUBBLICA”