Italia troppo fragile di fronte al cambiamento climatico

In Italia il cambiamento climatico si fa sentire sempre di più attraverso picchi di polveri sottili in città (che provocano sensibili aumenti di malattie respiratorie e allergie), alternati a periodi di piovosità intensa e alluvioni, che a causa della speculazione edilizia e dunque della cementificazione selvaggia causano danni seri in città e campagna a danno di persone, animali ed edifici e portano con sé esondazioni e frane. Legambiente, in collaborazione col Ministero dell’Ambiente, ha redatto un dossier intitolato “Le città italiane alla sfida del clima”, una ricerca con l’obiettivo di individuare criticità sul territorio e aree a rischio per creare un piano di prevenzione. Dalla ricerca è emerso che dal 2010 si sono registrate ben 204 emergenze tra terremoti, frane, esondazioni e alluvioni, e colpisce sia l’intensità che la frequenza di questi fenomeni, con danni enormi. I comuni colpiti sono stati ben 101 in questo lasso temporale e vi è anche un’emergenza sanitaria non indifferente, in quanto solo le inondazioni, per esempio, hanno causato 140 morti e l’evacuazione di oltre 32.000 cittadini. Le fatalità però sono sempre più spesso causate dalla canicola estiva, che, abbinata ad alti tassi d’umidità, è un pericolo per gli anziani e le persone più deboli. Nel dossier emerge inoltre che otto comuni su dieci, popolati da quasi sei milioni di persone, insistono in aree a rischio di dissesto idrogeologico, portando l’Italia a spendere tra il 1944 e il 2012, 61,5 miliardi di euro solo per i danni e il conteggio delle vittime delle catastrofi naturali a più di 5000 dal 1950 in poi. Legambiente dunque sottolinea l’importanza della prevenzione, della messa in sicurezza delle città attraverso interventi innovativi per aumentare la resilienza di persone e soprattutto di edifici, individuando le zone a maggior rischio, anche se un nodo rimane per quel che riguarda i fondi.

A cura di M.B.

DA “LA STAMPA”

L’Agosto più caldo degli ultimi 136 anni

L’agosto del 2016 è stato il più caldo negli ultimi 136 anni, ovvero da quando si registrano le temperature terrestri; il termometro globale ha registrato 0,16 gradi centigradi in più rispetto all’agosto 2014, cui apparteneva il record precedente e 0,98 gradi in più rispetto alla media. Come sottolinea Gavin Schmidt del Goddard Institute for Space Studies della Nasa, sono gli effetti a lungo termine che c’interessano per comprendere i cambiamenti climatici in atto. Ad agosto sono saliti a 11 i mesi consecutivi in cui si è registrato un record di temperature, in una sequenza iniziata ad ottobre 2015. Il 2016 sarà a sua volta un anno da primato di caldo.

A cura di M.B.

DA “LA REPUBBLICA”

Il martirio degli ambientalisti

La mattanza degli attivisti ambientalisti e più spesso delle semplici popolazioni locali che rivendicano i loro territori e la loro libertà di abitarli, sta creando sempre più morti, che potrebbero essere evitate con la difesa da parte delle autorità, della legge e della polizia, colpevoli (come minimo) di chiudere gli occhi. In Brasile la situazione è particolarmente drammatica per coloro che si attivano contro il disboscamento della foresta, come una coppia residente nel nordest del paese, freddata brutalmente da dei sicari, un caso terribile purtroppo tra i tanti. Inoltre la situazione probabilmente peggiorerà col nuovo ministro dell’agricoltura Maggi, uno dei maggiori produttori di soia del paese, per la quale sono state disboscate vaste aree per aumentare i terreni agricoli dedicati alla coltivazione, tanto che Greenpeace ha ironicamente assegnato un premio al ministro, la “motosega d’oro”, come maggior devastatore dell’ambiente. La domanda di terreni agricoli da sfruttare è la principale causa di violenza tra i grandi proprietari terrieri e le popolazioni indigene, che spesso degenera in omicidi, anche di massa, ad opera di gruppi paramilitari illegali pagati dalle multinazionali in luoghi come Nicaragua, Bangladesh, Colombia e Filippine. Un dossier di Global Witness registra 33 omicidi di attivisti ambientalisti nelle Filippine nel 2015, per la maggiore collegati alla vicenda della campagna di persecuzione contro gli indigeni dell’isola di Mindanao, che si ribellano alla concessione di ettari su ettari alle multinazionali. I casi principali in cui si verificano minacce e omicidi sono legati a miniere, disboscamenti e agrobusiness.

A cura di M.B.

DA “L’ESPRESSO” DI REPUBBLICA