Papa Francesco sulla guerra mondiale per l’acqua

Papa Francesco è recentemente intervenuto al convegno organizzato dalla Pontificia Accademia delle Scienze e delle Scienze sociali sul tema del diritto all’acqua, esprimendo il suo timore che la contesa per l’acqua potrebbe portare ad una terza guerra mondiale. Il pensiero del Papa è rivolto in particolare ai milioni di adulti e bambini che non hanno acqua potabile disponibile, coloro ai quali è negato questo diritto che dovrebbe essere universalmente riconosciuto mettendo da parte gli egoismi. Nel “Laudato si”, il pontefice aveva già parlato dell’acqua come principio di tutte le cose ed elemento fondamentale della vita, citando passi della Genesi e del Cantico delle Creature, per sottolineare quanto sia importante per il progredire della nostra società nel complesso. L’acqua dev’essere pura, non contaminata. Non solo dovremmo avere tutti il diritto di usufruirne, ma tutti dovremmo impegnarci a renderla pulita e potabile; gli stati devono fare in modo di attuare una politica responsabile riguardo ad entrambi questi aspetti. Secondo Papa Francesco il rispetto per gli altri esseri umani passa necessariamente attraverso il rispetto della natura e va promossa una “cultura della cura”, ovvero la condivisione responsabile di un bene (in questo caso l’acqua). La “cultura della cura” deve coinvolgere politici, scienziati, imprenditori e gente comune per rendere la nostra “casa” più abitabile, sicura ed equa, senza escludere nessuno.

I temi affrontati nel convegno sono stati molteplici: l’alterazione del ciclo dell’acqua nel pianeta, la contaminazione delle acque, il grave e devastante effetto della deforestazione sull’acqua, la conseguente scarsezza dell’acqua, la crescente difficoltà dei poveri ad avere accesso all’acqua e in particolare all’acqua potabile.

A cura di M.B.

DA “LA REPUBBLICA”

La Porta dell’Inferno in Siberia

Nella regione della Jacuzia, in Siberia, un quarto di secolo fa si è aperta una voragine nella terra, profonda più di cento metri e lunga due km, non lontano dalla città di Batagai. La voragine aumenta di dimensioni di anno in anno, sprofondando di circa 18 m l’anno senza sosta a causa del surriscaldamento e del disboscamento (fenomeni analoghi si stanno verificando anche altrove nel Circolo polare artico). Un evento simile non accadeva da 10.000 anni, ovvero dall’ultima glaciazione, e probabilmente la voragine continuerà ad aumentare di dimensioni fino all’erosione completa del permafrost, come afferma il geologo prof. Murton dell’Università del Sussex.

A cura di M.B.

DA “LA STAMPA”

Chiudere 300 centrali a carbone entro il 2030 in Europa

L’Europa dovrà avviare da subito la chiusura di 300 centrali a carbone, ed ultimarla entro il 2030, secondo Climate Analytics, per poter rispettare la soglia dei 2 gradi centigradi di aumento della temperatura globale. Per salvare il clima e l’ambiente ci vuole un taglio drastico delle fonti di energia “sporche”, ancora troppo utilizzate nell’Eurozona; è l’organizzazione no profit Climate Analytics, che si occupa dello studio dell’impatto antropico sul cambiamento climatico, che è arrivata a questa conclusione. Germania e Polonia sono i paesi che devono fare lo sforzo maggiore in quanto sono responsabili rispettivamente del 51 % e del 54 % delle emissioni di carbone, con gli altri paesi a seguire con percentuali sensibilmente minori. Centrali elettriche e grandi industrie dovranno rinunciare all’uso del carbone, puntando su biometano, eolico e solare, pena lo sforamento del limite stabilito dall’accordo di Parigi. Per Greenpeace l’Ue è ancora indietro sugli accordi siglati e preme per una transizione al 100 % a fonti rinnovabili e per la cancellazione dei sussidi pubblici per le fonti fossili.

A cura di M.B.

DA “LA REPUBBLICA”

Viaggio nel clima che cambia l’Italia

Luca Mercalli, meteorologo e divulgatore degli eventi legati al cambiamento climatico, introduce il “Climatic Gran Tour” fotografico dell’Italia curato da Alessandro Gandolfi, il quale ha fotografato per un anno paesaggi italiani modificati dal clima, spesso non in meglio.

Il primo problema è la desertificazione, che coinvolgerà fino ad un quinto del territorio italiano, specialmente al sud, secondo l’Enea, per conseguenze delle estati calde e secche.

Il secondo è quello dei tornado, che devastano i territori pianeggianti, seppur con meno intensità rispetto a ciò che avviene negli USA; ne sanno qualcosa gli abitanti della Valpadana colpiti a più riprese in varie zone nell’ultimo secolo.

Poi vi sono le erosioni costiere e l’aumento del livello del mare, causate dallo scioglimento dei ghiacciai e dalla dilatazione termica dell’acqua più calda; secondo studi del Cnr, il livello dell’Adriatico si è innalzato di 17 cm dal 1875 e forse entro fine secolo avrà aggiunto a questa cifra un metro in più, mettendo in serio pericolo Venezia. Non si dimentichino inoltre le terribili alluvioni che hanno colpito le nostre città e campagne e che sono destinate ad aumentare in quanto atmosfera e oceani più caldi velocizzeranno il ciclo dell’acqua (la situazione alluvioni è aggravata dalla cementificazione). Inoltre l’acqua salina per la crescita del livello marino, creerà un cuneo nell’entroterra e andrà a danneggiare coltivazioni ed acquedotti.

Il quarto problema, strettamente legato nelle cause al primo, è quello degli incendi, causati dalle temperature record, che distruggeranno ettari di vegetazione, colpendo duramente il meridione, dove si sono già verificati episodi drammatici (500 ettari bruciati in Puglia nel 2007). Il caldo porterà anche le zanzare vettrici di malattie tropicali in Italia, le quali causeranno epidemie a noi finora sconosciute e porterà allo scioglimento quasi completo dei ghiacciai nelle Alpi, la cui superficie si è già dimezzata in 150 anni.

Se non agiamo in fretta per prendere le contromisure, l’Italia diventerà un paese per noi irriconoscibile.

A cura di M.B.

DA “LA STAMPA”

 

Sci solo oltre quota 2500 sulle Alpi in futuro

Il turismo invernale sulle Alpi potrebbe subire in un futuro non troppo remoto una dura battuta d’arresto a causa del riscaldamento globale: la neve è infatti diminuita di molto, specialmente entro i 1200 m di altitudine, dove si concentra un quarto degli impianti sciistici. Entro la fine del secolo, se non saranno messe in atto le misure di contenimento del riscaldamento previste dall’accordo di Parigi, le Alpi potrebbero perdere fino al 70 % di neve, con un impatto devastante sul piano paesaggistico e turistico (danno che sarebbe ridotto del 30 % in caso contrario). La stagione sciistica sarebbe ritardata di circa un mese e gli sciatori dovrebbero recarsi fino ad oltre 2500 m per godersi la neve (ridotta tuttavia del 40 % anche lì, pensiamo a località come il Cervino o Chamonix). Il fenomeno è già pienamente in atto nelle Alpi svizzere con stagioni natalizie che da tre anni portano poche nevicate e un’aridità mai riscontrata in 150 anni.

A cura di M.B.

DA “LA REPUBBLICA”