Giornata della biodiversità: Coldiretti, in Italia persi 3 frutti su 4

La biodiversità ha subito una grave perdita nell’ultimo secolo e Coldiretti stima che 3 varietà di frutta su 4 ormai siano introvabili in Italia; tuttavia il problema non riguarda solamente le varietà di vegetali e frutta ma anche gli animali. Non si tratta solo di conservare il valore naturalistico della biodiversità ma di difendere il made in Italy, di difendere la produzione di qualità del nostro paese, nota in tutto il mondo. In Italia nel secolo scorso erano presenti ben 8000 varietà di frutta, mentre oggi se ne contano solo 2000, di cui 1500 minacciate dalla distribuzione commerciale che favorisce grandi quantità e prodotti standardizzati. La buona notizia è che l’Italia negli ultimi anni è entrata a far parte dei paesi più virtuosi d’Europa per ciò che riguarda l’agricoltura green (conta 60.000 aziende agricole biologiche), la consapevolezza dei consumatori e la messa al bando degli Ogm e gli ormoni nella carne. Inoltre si contano 4965 prodotti tradizionali censiti in Italia tra Doc/Docg e Dop/Igp, i cui “custodi” sono contadini che si occupano di mantenere viva la produzione di queste prelibatezze locali e favorire la riscoperta di specie vegetali dimenticate come la pera cocomerina, le giuggiole e il corbezzolo. Va riconosciuto anche l’impegno degli allevatori, che hanno scongiurato l’estinzione di 130 specie animali, tra cui la gallina di Polverara, la capra Girgentana e l’asino romagnolo. Nell’occasione della 17esima Giornata mondiale per la biodiversità, è necessario ribadire con forza che la protezione della flora e della fauna a rischio non è più rimandabile e che già la biodiversità si è ridotta del 40 % tra il 1970 e il 2000. Varie regioni saranno coinvolte nell’organizzazione di eventi per far conoscere le specie vegetali locali, Legambiente darà appuntamento ad Ostia per parlare di spiagge fondali puliti, mentre il Muse a Trento si occuperà di far conoscere al pubblico le farfalle tropicali delle foreste pluviali.

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di M.B.

Meno anidride carbonica e più lavoro

Il World Energy Council Italia e l’Associazione Italiana per il Clima hanno di recente firmato la Carta di Trevi, ovvero un decalogo per la transizione a basse emissioni serra, approvato a seguito del meeting organizzato da WEC. La Carta di Trevi sottolinea l’importanza di un’azione corale da parte di cittadini, istituzioni e industria per ottenere vantaggi economici, ambientali e occupazionali dalla transizione alle energie pulite. Il meeting di tre giorni ha visto la partecipazione di operatori del settore energetico, stakeholders, politici e amministratori, che hanno convenuto sulla necessità che in Italia vi sia da un lato un sistema energetico con una fornitura stabile e competitiva dal punto di vista dei prezzi e dall’altro che si rispettino gli impegni presi a Parigi. Per raggiungere questi obiettivi bisogna intervenire sulla mobilità, uno dei settori in cui l’impatto ambientale resta più alto, e sulla forza lavoro; si stima che nei settori low carbon dell’energia lavorino attualmente 9 milioni di persone (tra il 30-50% dei ricercatori di energie innovative), ma che nel 2020 se ne aggiungeranno altri 5 milioni e fino al 2030 altri 6,3 milioni.

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di M.B.

Allarme Lipu su specie selvatiche in Europa

In soli 10 anni la percentuale degli uccelli selvatici a rischio estinzione è balzata in avanti del 70 %: dalle 40 specie in pericolo tra il 1990-2000 alle 68 del decennio 2000-2010. L’informazione proviene dalla ricerca “Birds of Europe 3”, redatta dalla Ong animalista Birdlife International e presentata in Italia in questi giorni dalla Lipu. Sono state prese in considerazione 541 specie selvatiche in 50 paesi europei, avvalendosi dell’aiuto di ornitologi e appassionati. In Italia le specie minacciate sono ad esempio la berta minore (un volatile che nidifica presso le coste) e il nibbio reale, particolarmente diffuso in meridione. Il coturnice, la tortora selvatica, la pavoncella, il tordo sassello e il moriglione, nonostante siano inseriti nella lista delle specie a rischio, sono ancora considerati per legge cacciabili; la Lipu si è già mossa per richiedere alle autorità competenti l’eliminazione di queste specie dalla lista di quelle cacciabili.

DA “LA STAMPA”

A cura di M.B.

Milano: aria irrespirabile per il biossido di azoto

I milanesi dell’associazione Cittadini per l’Aria, che si occupa di temi ambientali, hanno studiato la quantità di biossido di azoto presente nella loro città come dei veri ricercatori: hanno posto delle fiale per la misurazione dei livelli di biossido presso le loro abitazioni, il posto di lavoro e le scuole dei loro bambini. Il risultato è impressionante: a livello mensile, il 96 % delle fiale ha rilevato una presenza di biossido di azoto ben oltre i limiti di legge (40 milligrammi per metro cubo su base annua). La zona più salubre è risultata Niguarda, mentre Certosa è risultata la più dannosa per la salute (rispettivamente 24 e 89 milligrammi per metro cubo). Il 46 % dei rilevatori ha riscontrato tra i 50 e i 60 milligrammi, mentre il 29 % dei rilevatori ha riscontrato oltre i 60 milligrammi. Viale Bodio, viale Certosa, viale Majno e viale Porpora superano gli 80 milligrammi. In base ai dati ottenuti su scala mensile è inoltre stata fatta una stima delle concentrazioni annue di biossido di azoto, col risultato che l’84 % delle zone campionate superano il livello consentito e solo 35 campioni su 219 rivelano una concentrazione inferiore a 40 milligrammi per metro cubo all’anno.

La presidente dell’associazione, Anna Gerometta, è convinta che sia ora di dare ai milanesi la possibilità di vivere in una città salubre, cambiando il sistema dei trasporti ed introducendo progressivamente delle restrizioni e tariffe per l’entrata dei veicoli diesel (oggi il 50 % di quelli circolanti in città), che emettono quantità di biossido di azoto 4-5 volte il limite consentito. Ne va della salute dei cittadini, soprattutto le fasce più deboli come anziani e bambini, oltre alle persone che presentano patologie respiratorie.

DA “LA STAMPA”

A cura di M.B.

 

Muschi al posto dei ghiacci in Antartide

Un ulteriore segnale del riscaldamento globale fuori controllo è la crescita di specie vegetali in luoghi che, fino a poco tempo fa, sarebbero stati per loro inospitali, ed un esempio è la crescita del muschio in Antartide, che si giova della temperatura sempre meno rigida. I dati provengono da uno studio svolto dalla Exeter University e pubblicata su Current Biology: la ricerca, che si basa su informazioni degli ultimi 150 anni, afferma come in soli 60 anni (dal 1950) ci siano stati significativi cambiamenti nella distribuzione del muschio a causa dell’aumento delle temperature (che risulta oggi nelle aree polari di circa 2,5 gradi rispetto all’era preindustriale). Mutamenti non solo nelle temperature ma anche nel regime dei venti e delle precipitazioni, hanno concorso a modificare il paesaggio stesso dell’Antartide, sempre più priva di ghiacci e sempre più soggetta all’alterazione dei suoi equilibri biologici. Se non si agisce in fretta per contenere e rallentare il riscaldamento globale, si potrebbe andare incontro ad una disintegrazione totale dei ghiacci dell’Antartide, che vorrebbe dire l’innalzamento del livello dei mari di circa 5 metri.

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di M.B.