Le ondate di calore si moltiplicano

Dalla devastante estate 2003, in cui si sono registrate in Europa 70.000 morti per il caldo, i picchi di calore estivi non si sono mai interrotti, con conseguenze tragiche per ambiente ed esseri umani in tutto il nostro continente dalla Russia alla Grecia alla Spagna. Nature in un recente studio, ha previsto che entro fine secolo tre quarti della popolazione mondiale dovrà convivere abitualmente con ondate di calore in grado di mettere a repentaglio la salute umana. Ben 11 miliardi di persone saranno presenti sulla terra e avranno bisogno di acqua e cibo; cosa che difficilmente potrà essere garantita, visti gli sviluppi del mutamento climatico.

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di M.B.

Boom di estrazioni e vendite: il ritorno del carbone minaccia l’accordo di Parigi

Nella prima metà del 2017 la produzione e utilizzo di combustibili fossili è aumentata in tre delle nazioni che si erano impegnate sottoscrivendo l’accordo di Parigi: Cina, India e Stati Uniti. La tendenza al calo della produzione di carbone si era registrata a partire dal 2012 (secondo la compagnia britannica Bp), favorita da produzione di gas naturali a prezzi economici e sviluppo delle rinnovabili, una tendenza che si è bruscamente invertita con un incremento del 6 % della produzione totale rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, con l’impennata più significativa data dagli Usa, con 19 % in più, seguita da Cina e India al 4 %. Gli Stati Uniti, ormai fuori dall’accordo di Parigi per scelta del presidente Trump, che ha deciso di assecondare in questo modo il suo elettorato, dovranno fare i conti non solo col mercato, ma anche con il G20 organizzato ad Amburgo dalla cancelliera Merkel per il 7 e 8 Luglio, la quale ha proposto un’agenda con al centro temi come l’ambiente, il libero commercio e le migrazioni, in forte contrapposizione con Trump. Tuttavia, i veri effetti delle nuove politiche americane non sono ancora osservabili. Se Cina e India invece, formalmente all’interno dell’accordo, dovessero violare i limiti auto-imposti, l’intesa di Parigi sarebbe al capolinea, senza speranze di raggiungere l’obiettivo (già al limite dell’utopia) fissato nel 2015. E’ possibile che si tratti, per questi due paesi, di una tendenza temporanea, volta ad utilizzare il carbone fossile per esigenze immediate (in India il problema dell’elettricità per i cittadini) o perché vi è ancora tempo per applicare gli standard (è il caso della Cina, che ha tempo fino al 2030). La Cina, d’altro canto, punta ad una leadership mondiale nel settore delle rinnovabili e al G20, insieme all’India, è intenzionata a confermare il proprio impegno. Se India e Cina manterranno la promessa, forse Trump sarà isolato, mentre se questo aumento di produzione del carbone fossile rivelasse le vere intenzioni delle due potenze asiatiche, l’accordo sarà messo in discussione.

DA “LA STAMPA”

A cura di M.B.

Dieci principi (secondo Greenpeace) per gli accordi sul commercio

Greenpeace ha stilato un elenco di dieci principi volti al riequilibrio e la ristrutturazione delle norme sul commercio e investimenti nel mondo della globalizzazione, in cui troppo spesso i governi tendono ad anteporre il commercio agli standard sociali e ambientali. Si sente ovunque il bisogno di avere un commercio trasparente e regolato, che tenga conto della sostenibilità ambientale e dei diritti umani; il commercio non deve essere uno scambio di beni fine a se stesso, ma un mezzo per centrare obiettivi sociali e ambientali, a favore delle persone e del pianeta, in un’ottica di responsabilità intergenerazionale. Ecco dunque la proposta di Greenpeace, che mira ad integrare il lavoro di norme e principi elaborati da altri settori della società:

  1. Trasparenza nelle negoziazioni
  2. Sostenibilità ambientale. Si deve seguire il principio del “chi inquina paga” per non scaricare i costi ambientali del commercio sull’intera società.
  3. Coerenza con gli accordi multilaterali ovvero agire nel rispetto di accordi presi sul fonte ambientale (quello di Parigi, quello sulla biodiversità e sulla sostenibilità ambientale).
  4. Principio di precauzione da adottare negli accordi commerciali per tutelare salute pubblica e ambiente.
  5. Migliorare gli standard ambientali e sociali degli accordi
  6. Impatto sulla produzione etichettatura, tracciabilità.
  7. Accesso giusto ed equo alla giustizia le aziende e gli investitori devono rispettare i diritti dei lavoratori, delle comunità e dell’ambiente. Non hanno diritti maggiori rispetto alle altre parti e le norme e politiche di pubblico interesse sono escluse dalle controversie sulla protezione degli investimenti.
  8. Cooperazione regolatoria gli accordi commerciali devono armonizzarsi agli standard sociali e ambientali. Non devono essere considerati una barriera ma una condizione necessaria.
  9. Protezione delle economie del Sud del mondo ovvero gli accordi e gli investimenti non possono essere imposti contro la volontà dei paesi e delle comunità; vanno tutelate la sovranità popolare, la biodiversità e le differenze culturali.
  10. Valutazione indipendente gli accordi su commercio e investimenti sono sottoposti ad una valutazione indipendente a cui prende parte anche la società civile, su impatto sociale e ambientale di essi. Gli esiti sono tempestivamente tenuti in considerazione per negoziazioni in atto o rinegoziazioni in programma.

A cura di M.B.

DA GREENPEACE

Incontro tra premier indiano Modi e Trump: nessuna parola sul clima

Nonostante il dibattito acceso intercorso tra India e Stati Uniti negli ultimi tempi a seguito dell’adesione all’accordo di Parigi dell’uno e del ritiro dell’altro, nell’ultimo incontro avvenuto a giugno tra il presidente indiano Modi e il presidente Trump, non è stato fatto il minimo cenno al problema del mutamento climatico. Di recente Trump si era scagliato contro l’India accusando il paese di aver firmato l’accordo di Parigi al solo fine di ricevere svariati milioni di aiuti da parte dei paesi più sviluppati; al che il ministro degli affari esteri Swaraj aveva risposto indignato che l’accordo di Parigi non era stato firmato per avidità ma per il nobile scopo di proteggere l’ambiente.

Tuttavia all’incontro tra i due capi di stato non ci sono state dichiarazioni pubbliche sul clima: segno di disaccordo o di apatia? Manish Bapna, vice presidente del World Resources Institute propende per il primo. Ma, dati alla mano, cosa sta veramente accadendo in India sul fronte delle rinnovabili?La settimana scorsa la Coal India, una delle più grandi aziende che gestiscono miniere di carbone, ha annunciato la chiusura di ben 37 miniere entro marzo prossimo. Secondo l’Institute for Energy Economics and Financial Analysis, è un netto segnale della transizione alle rinnovabili in atto, favorita dalla diminuzione dei prezzi nel solare; l’India è infatti il terzo paese per produzione di energia solare al mondo. D’altro canto l’India, insieme alla Cina, è tra i paesi che si sono posti gli obiettivi più ambiziosi nell’accordo di Parigi, ovvero di diminuire le emissioni nocive del 33 % entro il 2030. Nonostante tutto ciò, che farebbe ben sperare, l’industria delle miniere di carbone si è espansa del 4 % nei primi mesi del 2017 e resta da vedere se è un aumento temporaneo o una preoccupante inversione di marcia.

A cura di M.B.

DA SITO INSIDE CLIMATE NEWS

Africa: nel Sahel si prepara la più grande migrazione della storia

L’Africa subsahariana e il poverissimo Sahel, pur avendo una minima responsabilità nel surriscaldamento globale rispetto ai paesi ricchi, sono e saranno nei prossimi cent’anni, tra i luoghi più flagellati del mondo da siccità e carestie. Già il Corno d’Africa ha subito nel recente passato delle tremende carestie, ma continueranno ad aumentare in intensità e drammaticità a causa del numero di persone coinvolte. Milioni di persone soffrono per l’assenza totale o quasi di cibo, acqua e mezzi di sussistenza, i raccolti di grano e mais dell’Africa subsahariana sono probabilmente destinati a crollare entro il 2040 a causa dell’inservibilità delle terre coltivabili del 40-80%. La maggior parte delle donne dell’Africa subsahariana partoriscono un gran numero di figli (c’è una media di 7,6 figli per donna in Niger) in quanto non hanno a disposizione contraccettivi e non posseggono la nozione di pianificazione familiare. Entro il 2100, solo nell’area del Sahel, la popolazione potrebbe aumentare sino a 670 milioni di persone. Le migrazioni, già definite dalle diplomatiche e controllate Nazioni Unite una “mission impossible”, potrebbero assumere una portata apocalittica secondo una previsione del Washington Post, secondo il quale entro fine secolo il Sahel s’inaridirà del tutto, e milioni di persone saranno costrette ad emigrare. Nella speranza che questo scenario sia troppo pessimistico, nel frattempo è necessario agire per controllare l’impennata demografica, trascurata colpevolmente dai governi locali, avidi e senza scrupoli, e dalla comunità internazionale, che, anche quando non si gira dall’altra parte, non riesce a focalizzare l’attenzione su aiuti mirati (in 45 pagine prodotte dalle Nazioni Unite sul Sahel, non una parola è stata spesa per il controllo demografico).

DA “LA STAMPA”

A cura di M.B.