La caccia al petrolio e al gas nella Pianura Padana

Nonostante ormai lo storico giacimento dell’Eni a Cortemaggiore sia vuoto e la Basilicata si sia ormai aggiudicata il titolo di “Texas” d’Italia, l’interesse per gli idrocarburi sepolti nel sottosuolo della Pianura Padana non è venuto meno e la piana del Po è rimasta nei radar delle compagnie petrolifere. Tra Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto l’Unimig del Ministero per lo Sviluppo Economico ha autorizzato ben 53 permessi di ricerca sulla terraferma, più dell’insieme di quelli concessi al centro e al sud. La ripresa della ricerca del petrolio in Pianura Padana è avvenuta attorno al 2010 in quanto negli anni duemila sono state sviluppate nuove tecnologie di ricerca in profondità: il nord est risulta interessante per le compagnie petrolifere perché la sua conformazione geologica è favorevole all’accumulo e la conservazione degli idrocarburi, grazie alle Alpi che fanno da barriera e alcune tipologie di rocce che fanno da “tappo” contro la dispersione di gas e petrolio.

La compagnia Shell è oggi responsabile di un progetto di ricerca di idrocarburi a cavallo tra Piemonte e Lombardia, in un’area di 462 chilometri quadrati chiamata Cascina Alberto, e che era stata già oggetto di perforazioni da parte dell’inglese Northen Petroleum nel 2014, e il permesso durerà 6 anni. Si partirà con l’indagine geofisica (una sorta di “ecografia” al terreno fino a 6000 m di profondità) e a seguire, se l’esito sarà positivo, saranno scavati dei pozzi esplorativi nel 2022.

L’Eni a sua volta, dopo aver esaurito le riserve del giacimento di Villafortuna nel Piemonte orientale, ha iniziato a guardarsi intorno, e nel 2006 ha individuato a Carpignano Sesia il luogo dove scavare un pozzo esplorativo di 4000 m di profondità. Nel 2015 il progetto era stato però fermato dalla Regione Piemonte a causa della mancata valutazione dell’impatto del pozzo sulle falde, l’area della riserva idrica e le sorgenti presso quella località. Nel giugno scorso la decisione della Regione è stata ribaltata dal Ministero dell’Ambiente, che ha concesso il permesso, causando il malcontento della popolazione locale che ha formato un comitato di difesa del territorio che attraverso una colletta è riuscito a comprare il terreno sul quale Eni avrebbe impiantato la trivella. Un messaggio forte dei cittadini del luogo, che hanno invitato quelli di Cascina Alberto (il progetto di Shell) a fare altrettanto e a tenere gli occhi aperti su un nuovo progetto di trivellazioni della compagnia statunitense Aleanna presso la non lontana Cascina Graziosa. La Aleanna ha già in cantiere esplorazioni nel torinese e nel ferrarese. Meno fortuna ha avuto il braccio italiano dell’inglese Apennine, che con le trivellazioni a Zibido San Giacomo nel milanese ha ottenuto gas misto ad acqua e fango e ora pensa a battere in ritirata solo dopo aver trivellato a più di 4000 m di profondità.

A cura di M.B.

DA “BUSINESSINSIDER.COM”

Un uragano di dimensioni bibliche

Non è la prima volta che il Texas si trova a fronteggiare uragani, ma a memoria d’uomo è difficile trovare un paragone per un disastro come quello causato da Harvey; forse solamente l’uragano senza nome che devastò Galveston nell’800 uccidendendo 12.000 persone e l’uragano Katrina del 2005 che colpì New Orleans. La pioggia non accenna a diminuire e continua a rovesciare bombe d’acqua su tutta la costa e su Houston, la quarta città più popolosa degli USA. L’uragano sta interessando un’area sempre più vasta, fino al Profondo Est texano, e la gente pur di sfuggire agli allagamenti sale sui tetti nella speranza di essere soccorsa. La luce nelle tenebre è data dalla solidarietà e la generosità della popolazione: molti hanno rischiato la vita pur di salvare gli altri, specialmente coloro che più ne avevano bisogno, come anziani e infermi, anche gli animali domestici non sono stati lasciati indietro. Numerose associazioni benefiche hanno iniziato a raccogliere fondi per aiutare gli sfollati e le persone in difficoltà e hanno avuto molto successo grazie alle donazioni. Questa è la prova che nonostante i morti e la catastrofe che incombe ancora sulle loro teste, la popolazione locale riuscirà a risollevarsi economicamente e psicologicamente grazie alla forza della solidarietà e al cuore della gente.

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di M.B.

L’uragano Harvey negli USA

L’uragano Harvey è il più potente ciclone che abbia mai colpito gli USA da più di un decennio, motivo per cui il presidente Trump ha proclamato lo stato di calamità naturale per il Texas; l’uragano ha colpito nella serata la costa con venti sferzanti, fino a 200 km/h, col suo occhio puntato sulla zona nord est di Corpus Christi, tra Port Aransas e Port O’Connor. Harvey ha portato con sé piogge devastanti e inondazioni e, nonostante sia stato declassato da categoria 4 a categoria 3, ha costretto migliaia di persone a fuggire dalle proprie case e ha provocato inondazioni a Houston, la quarta città più popolosa degli Stati Uniti. Le previsioni lo paragonano addirittura all’uragano Katrina per intensità e danni a cose e persone (si contano già delle vittime).

A cura di M.B.

DA “LA STAMPA”

Il riscaldamento globale altera il regime delle alluvioni in Europa

Uno studio pubblicato su Science, frutto del lavoro di un team internazionale guidato dall’Università di Vienna e a cui hanno partecipato anche due docenti dell’Università di Bologna, ha mostrato per primo come il cambiamento climatico, nello specifico il riscaldamento globale, abbia alterato il regime delle alluvioni in Europa. A causa dello scioglimento sempre più anticipato delle nevi, la parte nord orientale del Vecchio Continente subisce alluvioni e inondazioni a inizio primavera, con in media un mese di anticipo rispetto agli anni ’60-’70. L’area adriatica e mediterranea invece subisce gli stessi fenomeni nel tardo autunno, con uno slittamento in avanti di un mese rispetto a quarant’anni fa.

A cura di M.B.

DA “LA REPUBBLICA”

Addio sci d’estate

L’impianto sciistico dello Stelvio (Bolzano), a 3000 m di altitudine, non ha mai interrotto la sua attività nemmeno d’estate in ben 50 anni: quest’anno la situazione è talmente catastrofica che le piste chiudono fino a data da destinarsi. Tre centimetri di neve fresca certo non sono sufficienti per coprire i crepacci che si formano a causa dello scioglimento del ghiacciaio, che oggi anziché essere coperto di neve (come sarebbe normale a fine agosto) presenta alla vista il colore grigio delle sue rocce, della polvere e pure della sabbia africana che si è accumulata durante il passaggio degli anticicloni estivi. Lo Stelvio, valico più alto d’Europa, era l’unico luogo rimasto sulle Alpi italiane dove si poteva sciare per tutto l’anno: gli impianti della Marmolada avevano chiuso i battenti d’estate nel 2007 dopo una lunga agonia, seguiti da quelli del Presena e della Val Senales nel 2013.

Purtroppo i ghiacciai alpini stanno subendo un’erosione inesorabile da almeno quarant’anni e i teli estivi sono solo una cura palliativa per un male terminale. L’acqua scorre incessante dal corpo principale del ghiacciaio della Vedretta del Madaccio e lo zero termico è fissato a 4000 m, per cui, come sottolinea il direttore delle funivie dello Stelvio, pochi altri impianti (solo quelli sul Plateau Rosa e a Sass Fee) sono graziati dal problema dell’assenza di neve. Lo sci estivo sembra una disciplina destinata a sparire molto presto a causa dello scioglimento dei ghiacciai, che sta avvenendo ad una velocità spaventosa. Lo sci invernale sembra invece pronto ad affrontare nuove sfide: in Val Gardena le aziende Demaclenko e TechnoAlpin si contendono il settore della neve artificiale, rivaleggiando nell’obiettivo di produrre quest’ultima anche a temperature superiori allo zero. Il business dello sci è troppo ghiotto anche in tempi di cambiamento climatico e c’è da scommettere che le aziende del settore non si arrenderanno facilmente.

A cura di M.B.

DA “LA REPUBBLICA”