Microplastica: il suo profumo inganna i pesci

Una ricerca americana pubblicata su Proceedings of the Royal Society B, ha dimostrato che i pesci non ingeriscono le pericolose microplastiche solo per caso, ma che ne sarebbero, a certe condizioni, addirittura ghiotti. Sei banchi di 200-400 acciughe separati nell’acquario di San Francisco sono stati esposti a tre concentrazioni diverse di krill (organismi di cui si nutrono normalmente i pesci di piccole dimensioni) e microplastiche/zuppa di plastica. I pesci si sono avventati con gusto su entrambi: perché? Pare che le microplastiche rimaste a macerare con sale marino, acqua, alghe e un mix di batteri per settimane in mare, diventino, a causa del loro odore, un pasto gradito per gli organismi marini. Le microplastiche “fresche di fabbrica”, al contrario, sono state totalmente ignorate dai pesci. Sappiamo che 10 milioni di tonnellate di plastica all’anno vengono riversate nel mare e ci mettono davvero poco tempo a ridursi a frammenti minuscoli, che finiscono nello stomaco dei pesci, dei molluschi, delle foche e dei gabbiani. La novità è che la zuppa di polipropilene e fibre tessili sintetiche possa diventare un pasto ambito per i pesci dopo il processo di macerazione e “marinatura” che avviene in acqua. La Fao ha sottolineato in un documento da 150 pagine sulle microplastiche il fatto che sappiamo troppo poco sugli effetti che l’ingestione di pesci (che si sono cibati di residui plastici) può provocare sugli esseri umani. Per quanto riguarda i pesci a cui si rimuove l’apparato digerente prima di essere cucinati, il rischio è decisamente ridotto, mentre per ciò che riguarda i molluschi (che vanno mangiati interi) il rischio è maggiore. Per esempio, con l’ingestione di 225 grammi di cozze si avrà un’ingestione di circa 7 microgrammi di plastica (che se aggregati ad altri contaminanti tossici potrebbero causare una reazione infiammatoria nei tessuti).

E gli effetti delle nanoplastiche (inferiori a 100 nanometri, milionesimi di millimetri) sono ancor meno conosciuti. La situazione potrebbe aggravarsi con l’aumento della produzione industriale di plastica e gli effetti sulla salute umana sono, ad oggi, imprevedibili.

A cura di M.B.

DA “LA REPUBBLICA”

Sierra Leone: 300 morti per una frana

In Sierra Leone un fiume impetuoso di fango e detriti causato dalla combinata azione di un alluvione e una frana ha spazzato via due quartieri (composti perlopiù da case abusive) della capitale Freetown, uccidendo centinaia di persone e ferendone altrettante. Molte persone sono rimaste senza casa dopo aver assistito alla scena terrificante del fiume di fango che abbatteva edifici e trascinava via persone. Tra le vittime purtroppo ci sono un’ottantina di bambini e forse la conta dei morti non è finita, perché sotto i detriti potrebbe essere intrappolato un gran numero di cadaveri, tra cui presumibilmente molti dei dispersi.

A cura di M.B.

DA “LA REPUBBLICA”

Incendi in Groenlandia

Greenpeace lancia l’allarme incendi a 150 km dal circolo polare artico: la Groenlandia brucia, già 1250 ettari sono andati in fumo ad appena 50 km dal fronte di un ghiacciaio, forse a causa di incauti turisti. Già in Siberia, alle porte dell’Artico, si erano verificati incendi che hanno portato alla distruzione (in un anno) di un milione di ettari di vegetazione; dove prima c’era il permafrost, ora c’è la fuliggine che si deposita sui ghiacci e ne accelera la fusione. Le estati, a partire da quella devastante del 2003, si sono fatte sempre più calde e gli incendi divampano in tutta Europa per varie cause: da quelle naturali a quelle dolose, frutto di menti malate o di vere e proprie azioni criminali.

I campanelli d’allarme non sono mancati, ad esempio la crisi idrica che in Italia si protrae da maggio, ed è necessario agire ora per ridurre i combustibili fossili e l’effetto serra. Secondo Legambiente a fine luglio erano 75.000 gli ettari andati in fumo nel nostro paese, con ricadute drammatiche e ben note sull’agricoltura. Greenpeace denuncia il dissesto del territorio, la mancata manutenzione del suolo e una situazione di incuria del patrimonio naturale indegna di un paese facente parte del G7.

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di M.B.

Canarie invase da alghe tossiche

A causa del surriscaldamento dei mari, a Tenerife, nota meta turistica delle Canarie che conta 13 milioni di presenze all’anno, sta avvenendo un’invasione di microalghe urticanti, dette anche “segatura di mare”. Molti bagnanti uscendo dall’acqua hanno lamentato irritazioni e sfoghi cutanei dopo essere venuti a contatto con la sottile alga urticante. Purtroppo le bandiere rosse (divieto di balneazione) e gialle (prudenza) esposte sulle spiagge non sono servite a scoraggiare i turisti dall’entrare in acqua. Il direttore del dipartimento di salute pubblica delle Canarie ha spiegato che il fenomeno è diffuso anche in altre località costiere spagnole dalla fine di giugno e che è temporaneo.

Il batterio, Trichodesmium erythraeum, è il responsabile delle irritazioni che avvengono attraverso il contatto con l’acqua o con la sabbia infestate da questa microalga. L’arcipelago “dell’eterna primavera” è ora alle prese con temperature non esattamente miti e le spiacevoli conseguenze di tutto ciò.

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di M.B.

Temperature record colpa dell’uomo: rapporto di 13 agenzie americane teme la censura di Trump

Un rapporto federale preliminare, frutto del National Climate Assessment richiesto dal congresso ogni quattro anni, firmato da 13 agenzie e in attesa dell’approvazione da parte dell’amministrazione americana, afferma che le temperature medie negli USA sono le più alte da 1500 anni. Una copia riservata del rapporto è stata consegnata dagli scienziati al New York Times, che ne ha fatto trapelare i contenuti in quanto vi è il pericolo concreto che l’amministrazione Trump non l’approvi, mettendone a tacere le conclusioni. Il documento non fa che ribadire con decisione che le prove del cambiamento climatico sono evidenti “dall’alto dell’atmosfera alla profondità degli oceani” e che l’uomo ha avuto un ruolo chiave nell’acuire la situazione, specialmente dal 1980 in poi con l’emissione di gas a effetto serra. Dal 1880 al 2015 la temperatura globale è aumentata di 0,9 gradi centigradi, e non c’è ciclo naturale che spieghi un aumento così repentino. Purtroppo gli scienziati temono che le ricerche vengano bloccate da Trump e dall’attuale direttore dell’Epa, Scott Pruitt, la cui posizione di scetticismo sul cambiamento climatico è nota. Si registra addirittura da parte di questa amministrazione un cambio del linguaggio da utilizzare, pur di mistificare la realtà: il ministero dell’agricoltura ha chiesto ai propri funzionari di non utilizzare le parole “cambiamento climatico” bensì “situazioni meteorologiche estreme”.

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di M.B.