I parassiti dei raccolti

Uno studio dell’Università di Washington ha evidenziato la voracità e il gran numero in costante aumento dei parassiti delle coltivazioni di cereali come riso, mais e grano nelle zone temperate del pianeta. E’ una condizione che si aggrava con l’aumento delle temperature, come è dimostrato dallo studio: per ogni grado in più si perderà dal 10 al 25% del raccolto a causa di insetti e parassiti, specialmente in USA, Francia e Cina. 213 milioni di tonnellate di cereali saranno perduti con l’aumento di due gradi: il 46% del grano, il 31% del mais e il 19% del riso. Gli insetti vedono aumentare il loro metabolismo e il loro tasso di riproduzione col caldo, dunque sarebbe opportuno affrontare il problema pesticidi prima possibile per affrontare anche questo lato dell’emergenza clima.

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di M.B.

Il bilancio finale dell’uragano Maria a Porto Rico era sbagliato

Il governatore Ricardo Rossello di San Juan ha commissionato ad un anno di distanza uno studio sul reale bilancio delle vittime dell’uragano Maria a Porto Rico, affidandolo a Milton Institute of Public Health della George Washington University. Il bilancio iniziale parlava di 64 vittime, ma la realtà era ben diversa: i morti erano quasi tremila. D’altro canto lo scenario di devastazione con tetti scoperchiati, fango ovunque e città completamente sommerse, doveva far pensare: Rossello ora ammette la leggerezza commessa dalle autorità nel divulgare il dato delle vittime senza verificarne il numero. Si tratta tuttavia anche di persone decedute più tardi e alcune per effetto indiretto dell’uragano più potente che abbia colpito Porto Rico negli ultimi 90 anni.

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di M.B.

Si dimette Nicolas Hulot, ministro dell’Ambiente francese

Il ministro francese dell’Ambiente Nicolas Hulot ha deciso di gettare la spugna, a suo dire per una serie di “delusioni” e poca serietà e progettualità per ciò che riguarda il grande tema dei cambiamenti climatici. Il governo francese perde pezzi, ma l’accusa di Hulot è davvero pesante per il governo Macron: si sa quanto sia pressante il tema del riscaldamento globale e i suoi effetti su ecosistemi ed esseri umani e nonostante tutte le belle parole del presidente francese un suo ministro afferma senza giri di parole che è stato “lasciato solo” e che “non si può parlare di temi che ci riguardano tutti continuando tuttavia a mantenere un modello economico causa di tutti i disordini climatici”. Non c’è altro da aggiungere.

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di M.B.

La microplastica nei molluschi

Uno studio di Greenpeace ha appurato che le microplastiche non si trovano solo nello stomaco dei pesci più grandi, ma anche nei molluschi: ebbene anche il più piccolo organismo marino ormai è infettato dalle velenose microplastiche, che costituiscono la “zuppa” in cui si muovono i pesci. Si tratta di polimeri da pochi millimetri di spessore, quelli che si trovano, per intenderci, in scrub per il corpo o dentifrici. Il polietilene è l’elemento più diffuso nello stomaco dei pesci quali acciughe, triglie, merluzzi e scorfani (ma anche cozze e gamberi) ed è utilizzato per il packaging industriale. La situazione più critica resta l’Isola del Giglio, ma si sono registrati miglioramenti dal momento della rimozione del relitto della Costa Concordia. Purtroppo il Tirreno (come il Mediterraneo) è invaso dalla plastica, ma non dobbiamo considerare solo la plastica che possiamo osservare ad occhio nudo: la plastica si riduce a pezzi infinitesimali, tanto da rendere il mare una “zuppa” di microplastiche quasi invisibili, che rischiano di diventare nanoplastiche. A quel punto se ingerite da i pesci e assimilate nei tessuti potrebbero trasferirsi all’uomo direttamente, e non vi sono studi che possano prevedere cosa accadrebbe a quel punto.

Per questo motivo non basta riciclare la plastica, bisognerebbe non utilizzare del tutto ciò che viene detto “usa e getta”; il sindaco delle Isole Tremiti ha già preso provvedimenti in questo senso, con un’ordinanza che vieta stoviglie monouso.

DA “LA STAMPA”

A cura di M.B.

L’anidride carbonica e il cibo

L’inquinamento da anidride carbonica, come indicano studi americani pubblicati su Nature Climate Change rischia in futuro di impoverire sempre di più i raccolti in termini nutrizionali, con inevitabile impatto negativo sulla salute umana. Si prevede che entro il 2050, 175 milioni di persone in più soffriranno di carenza di zinco e 122 milioni di carenza di proteine. Il NOAA ha calcolato nel 2017 405 parti per milione di CO2 nell’atmosfera, ovvero livelli raggiunti 800.000 anni fa. Se non invertiamo presto questa tendenza, potremo ritrovarci nel 2100 con 800 parti per milione di CO2 nell’atmosfera e un aumento catastrofico di 4 gradi centigradi. I livelli, se si mantiene lo status quo, saranno fra 30-50 anni di 550 parti per milione e ciò significa una riduzione dal 3 al 17% del contenuto di proteine, zinco e ferro in 225 alimenti consumati oggi in 151 paesi del mondo (tenendo conto di disposizione demografica e di disponibilità alimentare dei paesi stessi). Si calcola anche un aumento dell’anemia del 4%. Chiaramente i primi a farne le spese saranno i paesi in cui già imperversa la malnutrizione, ovvero l’Africa subsahariana e il Sudest asiatico.

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di M.B.