Il cambiamento climatico e la guerra civile in Siria

Aggravati dal riscaldamento climatico, la siccità e l’impoverimento delle risorse idriche che stanno colpendo molte regioni della Terra possono spingere paesi già attraversati da tensioni sociali oltre la soglia che separa quei contrasti dal conflitto armato: come è accaduto in Siria, secondo uno studio appena pubblicato.

“Tra i fattori che hanno contribuito alla guerra in Siria ce n’è uno devastante ma largamente ignorato: il cambiamento del clima”. Shahrzad Mohtadi, giovane studiosa di scienze politiche alla Columbia University di New York, lo sosteneva sul “Bulletin of the Atomic Scientist” già nel 2012. Ora la sua idea trova conferma in uno studio guidato da Colin Kelley, geografo dell’Università della California a Santa Barbara, e pubblicato sui “Proceedings of the National Academy of Sciences”.

Nel triennio precedente al conflitto, fra il 2007 e il 2010, la regione ha sofferto la siccità più intensa e protratta mai registrata da quando si hanno dati affidabili. Esaminando l’andamento storico, Kelley ha constatato che la siccità s’inquadra in una tendenza in atto: nel Mediterraneo orientale la pressione atmosferica sta crescendo, facendo calare la piovosità invernale (-13% dal 1931), mentre le temperature aumentano (oltre un grado in più nel 1900). Per i suoli è un doppio colpo: le minori precipitazioni invernali si sommano all’aumentata evaporazione estiva nel disseccarli. Ebbene, questa tendenza non trova spiegazioni apparenti in eventi naturali mentre coincide con quando previsto dai modelli climatici.

Il clima ovviamente è solo uno dei fattori che hanno fatto precipitare la situazione. Uno sfruttamento agricolo insostenibile delle acque sotterranee aveva depauperato le riserve che di norma tamponavano le emergenze. I raccolti crollati di un terzo, le morie di bestiame, la denutrizione infantile hanno costretto un milione e mezzo di persone ad abbandonare le campagne, sommandosi a oltre un milione di profughi iracheni nei sobborghi delle città, già sul punto di rottura in un paese passato in mezzo secolo da 4 milioni a 22 milioni di abitanti. Qui gli sfollati si sono trovati abbandonati a se stessi dal governo, che non ha fatto nulla per aiutarli. Non sorprende allora che allo scoppio delle primavere arabe, nel 2011, questi sobborghi siano stati i maggiori focolai delle rivolte.

“Questo è il primo studio quantitativo approfondito che segnala non un rischio futuro ma un conflitto attuale legato al cambiamento del clima, ha dichiarato un altro autore, Richard Seager della Columbia University.

Dobbiamo ringraziare Le Scienze di questa informazione scientifica che conferma il carattere processuale con cui dobbiamo leggere questi grandi eventi che ci sovrastano. (Le Scienze. Aprile 2015)

Lascia un commento