Vladimir Ryabinin, segretario esecutivo della Commissione oceanografica intergovernativa dell’Unesco ha lanciato un forte monito sul fatto che in futuro le acque del pianeta si riscalderanno, s’innalzeranno e conterranno più residui plastici che pesci. Le conseguenze saranno catastrofiche: uragani violenti, aree costiere sommerse e persone costrette ad emigrare, riduzione di ossigeno nell’acqua e nell’atmosfera per l’assenza di fitoplancton e proliferazione di alghe tossiche. L’oceano in poche parole sarà mezzo morto: abbiamo lasciato la nostra culla primordiale, le acque, per poi tornare a distruggerle con inquinamento e azioni scellerate, che pagheremo care. Questo è il momento di agire e mettere sul tavolo tutte le conoscenze e competenze per la salvaguardia dell’ecosistema marino, da cui dipendono direttamente 3 miliardi di persone per la loro sussistenza.
Purtroppo i dati sono sconfortanti: il rapporto plastica:pesci è 1:1, le tonnellate di rifiuti sversati in mare ogni anno sono 8, il 40% degli oceani è danneggiato a causa di attività umane e sono 1,2 milioni per chilometro quadrato i frammenti di microplastiche nel Mediterraneo. Questi dati dovrebbero bastare a far salire questo tema nelle agende dei governi, che hanno consapevolezza del problema ma spesso si arenano quando si tratta di gestirlo in modo efficace e incisivo, mancano politiche comuni e solo l’1% delle risorse economiche vengono spese per la ricerca sugli oceani nel mondo; in realtà sarebbe un investimento lungimirante dato lo stato delle cose. Il mare sta combattendo per la sopravvivenza, ma noi dobbiamo aiutarlo per aiutare noi stessi.
DA “LA REPUBBLICA”
A cura di M.B.