Il realismo in politica

Di Domenico Ceravolo

Misura ciò che è misurabile e rendi misurabile ciò che non lo è ancora”.
– Galileo

Il problema del realismo in politica dopo la scoperta della realtà oggettiva, non è più una questione di dispute filosofiche, ma solo di un dibattito costruttivo per orientare l’immaginazione popolare verso un’evoluzione del nostro impianto sociale, da metterlo in armonia di tempi e di spazio con l’ambiente naturale.
Oggi, in pieno effetto serra, significa aiutare la riforma del sistema, in tempi rapidi e con grande unità democratica, a fronteggiare il pericolo che minaccia l’umanità. Non ci aiuta in questo quadro così drammatico né il realismo degli stenterelli né quello dei dotti, come appare dalle risse dei dibattiti politici, dove ognuno crede di conoscere la realtà meglio del prossimo.

La lettura processuale ci consente per la prima volta di comprendere la visione concreta della storia. La storicizzazione del sapere resta oggi ancorato a realtà mitiche che si rifanno ad un singolo uomo, ideato su credenze religiose o su ipotesi laiche di non meglio definite virtù eroiche; e ad una natura ferma e piatta sotto un cielo perfetto, altrettanto immobile.
La scansione del tempo storico fondato su queste ipotesi arretrate, si è tradotto in una letteratura ed un’arte che stanno lì, anche “meravigliose”, opera di grandi ingegni, a testimoniare i limiti di concezioni, nel lungo volgere, logorate dalla evoluzione della realtà vera, che avanza sopra le nostre teste e da cui siamo “vissuti” senza saperlo.
La superiorità dell’uomo non sta più sulle basi fallaci dell’abitudine, della presunzione prevaricante sulla realtà, ma proprio nell’essere il primo vivente ad avere la capacità di conoscere la realtà oggettiva e le sue leggi e di comportarsi coscientemente, in armonia con esse: un vantaggio qualitativo nuovo e inestimabile per la sopravvivenza dell’umanità, oggi minacciata come mai.

“Chi si rappresenta, come in un gran quadro, questa grande immagine della nostra madre natura nella pienezza della sua maestà; colui che legge nel volto di lei una varietà cosi generale e costante; colui che si rispecchia là dentro, e non se stesso, ma tutto un regno, come un ritratto di fattura delicatissima: quello solo giudica le cose secondo la loro esatta grandezza. Questo grande mondo (…) è lo specchio nel quale dobbiamo guardarci per conoscerci in modo sicuro”.
– Michel de Montaigne

La cultura processuale, ho ripetuto spesso, è l’unica che non è volta a contrapposizioni ideologiche. Così come avviene, dopo la rivoluzione darwiniana, che la ricerca paleontologica si sia riaccesa di significato, in quanto ogni reperto, osseo o qualsivoglia e persino semplici orme, che riguardino l’uomo o una qualunque forma vivente, si “rianima”, venendo ad incastrarsi, dopo attente e spesso difficili fasi di interpretazioni, in una storia generale della natura e dell’uomo, che risulta dall’accumulazione di conoscenze, divenute incontestabili. Così dovrebbe accadere anche per la storia del pensiero politico dell’uomo. Se venisse studiato sulla base di una storia più vera, che contempli cioè tutti i fattori che agiscono sull’essere umano come su tutti gli esseri viventi, a partire dalla natura oggettiva, che tutto e tutti comprende, i singoli autori classici di filosofia, di letteratura e di storia, non verrebbero celebrati, sub specie aeternitatis, in forma stanca, come valori imperituri, benché superati palesemente, ma anch’essi verrebbero rianimati nel loro significato di apporti al corso della storia, spesso coraggiosi per la loro epoca, in cui mancavano parametri sicuri su cui vagliare le proprie credenze. Abbiamo bisogno dunque di una storia che si accompagni strettamente all’evoluzione integrale della natura e di tutti noi.
Da qui lo stimolo a fare responsabilmente la propria parte nel presente, aggiungendo mattoni non più obsolescenti, come avveniva nel passato, ma costruttivi di un corso più consapevole del ruolo delle presenti e future generazioni, più ricco di prospettive per la loro sopravvivenza.

 

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