Il martirio degli ambientalisti

La mattanza degli attivisti ambientalisti e più spesso delle semplici popolazioni locali che rivendicano i loro territori e la loro libertà di abitarli, sta creando sempre più morti, che potrebbero essere evitate con la difesa da parte delle autorità, della legge e della polizia, colpevoli (come minimo) di chiudere gli occhi. In Brasile la situazione è particolarmente drammatica per coloro che si attivano contro il disboscamento della foresta, come una coppia residente nel nordest del paese, freddata brutalmente da dei sicari, un caso terribile purtroppo tra i tanti. Inoltre la situazione probabilmente peggiorerà col nuovo ministro dell’agricoltura Maggi, uno dei maggiori produttori di soia del paese, per la quale sono state disboscate vaste aree per aumentare i terreni agricoli dedicati alla coltivazione, tanto che Greenpeace ha ironicamente assegnato un premio al ministro, la “motosega d’oro”, come maggior devastatore dell’ambiente. La domanda di terreni agricoli da sfruttare è la principale causa di violenza tra i grandi proprietari terrieri e le popolazioni indigene, che spesso degenera in omicidi, anche di massa, ad opera di gruppi paramilitari illegali pagati dalle multinazionali in luoghi come Nicaragua, Bangladesh, Colombia e Filippine. Un dossier di Global Witness registra 33 omicidi di attivisti ambientalisti nelle Filippine nel 2015, per la maggiore collegati alla vicenda della campagna di persecuzione contro gli indigeni dell’isola di Mindanao, che si ribellano alla concessione di ettari su ettari alle multinazionali. I casi principali in cui si verificano minacce e omicidi sono legati a miniere, disboscamenti e agrobusiness.

A cura di M.B.

DA “L’ESPRESSO” DI REPUBBLICA

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