L’estinzione di massa minaccia il nostro cibo

La sesta estinzione di massa innescata dal cambiamento climatico non solo rischia di far sparire la fauna selvatica che associamo alla bellezza della natura, i grandi mammiferi (metà della fauna selvatica è sparita negli ultimi 40 anni), ma anche le specie direttamente collegate alla nostra sopravvivenza. Biodiversity International attraverso uno studio evidenzia come solo le colture di riso, grano e mais costituiscano più del 50 % del nostro nutrimento vegetale e che in generale il 75 % di ciò che mangiamo dipende solamente da 12 colture e cinque specie animali. E’ chiaro che abbiamo puntato su così poche specie non tanto perché sono più buone o nutrienti di altre, ma perché si adattano meglio di altre al sistema industriale e la sua filiera. Gli allevamenti intensivi hanno un prezzo molto alto: l’agricoltura contribuisce per il 24 % all’effetto serra ed è la più grande filiera consumatrice di acqua dolce sul pianeta. Campi messi a coltivazione e pascoli coprono già il 38% delle terre emerse, lasciando il 62 % delle specie animali a rischio a causa dello stravolgimento del proprio habitat. Le previsioni ci dicono che forse la produzione agricola, a causa del cambiamento climatico, calerà del 2% mentre la domanda salirà del 14%. Per fare un esempio, negli anni ’70 in USA le coltivazioni di mais subirono un crollo nella produzione a causa di una malattia e il problema fu risolto solo grazie ad una varietà di mais selvatico messicano sopravvissuta. Inoltre il risvolto sanitario negativo della iper industrializzazione del cibo è il consumo di junk food, che fa aumentare sempre di più sovrappeso e obesi, mentre due miliardi di persone non hanno un consumo adeguato delle vitamine essenziali e sali minerali. Un Indice di agrobiodiversità, che è stato di recente proposto, potrebbe portare ad una programmazione adeguata delle risorse da impiegare per un nutrimento solido e duraturo delle persone sul pianeta: investimenti e interventi mirati implementerebbero le colture miste, più resistenti a malattie e parassiti rispetto alle monocolture, che ovviamente limitano la biodiversità.

Inoltre dal 1950 al 1999 uno studio sui nutrienti di 43 colture ha osservato una diminuzione della presenza di proteine, calcio, ferro e acido ascorbico. Insomma bisognerebbe evitare di coltivare e mangiare sempre le stesse specie di vegetali e graminacee, favorendo invece la crescita di varie specie in colture miste, le quali sono più resistenti, più sane e alla portata di tutti.

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di M.B.

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