Aree protette: un terzo a rischio per l’azione umana

Uno studio pubblicato sulla rivista Science rivela come le aree protette su carta siano in realtà sottoposte a forti pressioni a causa dell’intervento umano. Le aree tutelate formalmente rischiano di perdere la loro biodiversità per prossimità ad autostrade, allevamenti intensivi ed aree urbanizzate; come al solito è difficile mantenere oasi incontaminate a fronte di un mondo fortemente antropizzato. Il 15% della nostra Terra è formalmente sottoposto a vari livelli di tutela, che in ogni caso (sia nei casi più restrittivi che quelli più morbidi), significa la salvaguardia degli ecosistemi e della biodiversità originaria di un luogo. Ma qual è la verità dietro alle carte? Gli scienziati hanno esaminato la Human Footprint, la nostra vera impronta su queste aree. Hanno tenuto in conto di infrastrutture, centri abitati, costruzioni, allevamenti e corsi d’acqua sfruttati. Gli autori del paper sono arrivati alla conclusione che l’essere umano sta esercitando una pressione deleteria su ben il 32,8% delle aree protette (per capirci l’estensione è pari ai due terzi della Cina). Quelle che se la cavano meglio sono le aree protette in luoghi remoti, mentre quelle che si trovano in Asia, Europa ed Africa sono più a rischio per la prossimità dell’essere umano. Esempi virtuosi di gestione delle aree tutelate si trovano ad esempio in Cambogia, Bolivia ed Ecuador; è inoltre documentato che dove le regole sulla biodiversità sono più stringenti le cose funzionano meglio. Certo non si può prescindere anche da buoni finanziamenti ed è per questo che i ricercatori ed esperti devono farsi sentire maggiormente dai governi, perché anche dove le cose vanno peggio, c’è ancora speranza.

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di M.B.

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