Il Congo autorizza triivellazioni per il petrolio in aree protette

Il momento temuto è arrivato: purtroppo il governo congolese ha dato il via libera alle compagnie petrolifere per la trivellazione nei parchi nazionali di Virunga e Salonga (quest’ultima è la seconda maggiore foresta pluviale nel mondo). I parchi sono abitati da numerose specie vegetali ed animali protette, come elefanti, pavoni e il famoso gorilla di montagna, che oltretutto è a rischio estinzione. Il parco Virunga sarà in parte “declassato” dal governo ad area non protetta, tutto ciò a beneficio delle multinazionali e a danno dell’ecosistema, per il quale gli ambientalisti si sono battuti senza risultato. Un quinto del Virunga sarà dunque aperto alle trivellazioni. La decisione ha suscitato la generale riprovazione della comunità scientifica, ambientalista e non solo su tutti i social. Purtroppo, secondo il biologo Daniel Schneider, c’erano già delle avvisaglie di ciò che sarebbe successo: infatti poco prima il parco Virunga era stato chiuso al pubblico fino al 2019 a causa di un rapimento e un attacco ai rangers. Ma a posteriori tutto questo suona come una scusa per sottrarre il parco all’attenzione generale. Il pericolo delle trivellazioni non interessa solamente la fauna, ma anche noi esseri umani, in quanto l’anidride carbonica liberata durante i lavori contribuirà ulteriormente al surriscaldamento globale. Il governo congolese cerca maldestramente di rassicurare sul fatto che la fauna e l’ecosistema saranno protetti, ma già si vedono bracconieri col fucile in mano aggirarsi per le foreste pronti a depredarle dei loro abitanti.

DA “LA STAMPA”

A cura di M.B.

Inquinamento: possibile concausa del diabete?

Un recente studio della Washington University school of Medicine ha sottolineato come il diabete possa essere correlato anche all’inquinamento dell’aria. Nel mondo sono 420 milioni le persone a soffrire di diabete, di cui 30 milioni negli USA  e poco più di 3 milioni in Italia: le cause conosciute sono una dieta scorretta, la sedentarietà e l’obesità. Tuttavia a queste oggi si aggiunge quella dell’inquinamento atmosferico; mai erano stati fatti studi approfonditi su questa connessione, ma ora gli scienziati la confermano con decisione. Si potrebbe diminuire l’incidenza del diabete con una riduzione dell’inquinamento, non solo nei paesi con la qualità dell’aria peggiore, ma anche in quelli con basso tasso di contaminazione. Ragione in più per non ridiscutere, come si sta tentando di fare in alcuni Stati americani, i parametri delle sostanze inquinanti. Dal lato strettamente scientifico pare che l’inquinamento agisca riducendo l’insulina e aumentando l’infiammazione, impedendo al corpo di trasformare il glucosio ematico in energia (cosa che garantisce la salute). Nel 2016 ci sono stati 3,2 milioni di nuovi casi di diabete nel mondo dovuti anche all’inquinamento atmosferico, ovvero il 14% di tutti i nuovi casi. I casi si concentrano in particolare nei paesi in via di sviluppo e nelle grandi città, dove lo smog e la vita sedentaria ma allo stesso tempo frenetica impediscono il mantenimento di un equilibrio salutare per evitare le malattie.

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di M.B.

Greenpeace sulla plastica: il riciclo non salverà i nostri mari

Il rapporto intitolato “Plastica: riciclare non basta. Produzione, immissione al consumo e riciclo di plastica in Italia” e redatto dalla Scuola Agraria del Parco di Monza per Greenpeace ha analizzato l’efficacia del sistema di riciclo degli imballaggi di plastica nel nostro paese e ha tratto la conclusione che per quanto ben funzionante non sarebbe comunque sufficiente ad arginare il problema dell’inquinamento nei nostri mari. Sempre secondo la ricerca, dal momento che la produzione di materiali plastici raddoppierà l’attuale volume entro il 2025, sarà necessario ridurre urgentemente e drasticamente l’immissione sul mercato di imballaggi in plastica. Il responsabile della campagna anti inquinamento di Greenpeace Italia, Giuseppe Ungherese, ha aggiunto che le grandi aziende produttrici di plastica, pur pienamente consapevoli dell’impossibilità di riciclarla tutta, continuano a produrre sempre più usa e getta. Il nostro paese in Europa è secondo solo alla Germania in tema di produzione di plastica, con un consumo pari a 6-7 miliardi di tonnellate l’anno (di cui il 40% sono imballaggi). Nonostante il riciclo sia aumentato al 43% nel 2017, l’utilizzo della plastica monouso continua ad aumentare. Inoltre la quantità di imballaggi in plastica non riciclati è rimasta invariata da anni, vanificando sforzi ed investimenti per rendere efficiente la differenziata; i dati Corepla del 2017 ci dicono che solo 4 imballaggi su 10 vengono riciclati, mentre 4 restanti vengono portati agli inceneritori e 2 vengono dispersi nell’ambiente. L’incremento previsto della pratica del riciclo purtroppo non riesce a bilanciare l’immesso nel consumo, nemmeno attraverso sistemi come la Responsabilità Estesa del Produttore o la possibile introduzione di depositi su cauzione. Greenpeace sostiene che la durevolezza e la riusabilità siano, per questo motivo, caratteristiche più importanti della riciclabilità del materiale e si rivolgono alle aziende come McDonalds e Starbucks, Coca-Cola e Nestlé (e tante altre) con una petizione sottoscritta da più di un milione di persone, per ridurre l’utilizzo di plastica monouso e imballaggi.

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di M.B.

Ex-scienziato NASA accusa i governi di inerzia nel contrastare il cambiamento climatico

James Hansen, scienziato della NASA, nel lontano 1988, in un discorso al Congresso Americano, per la prima volta affermò che l’innalzamento delle temperature era dovuto al “99%” all’attività umana, creando scalpore negli USA e nel mondo, rendendo globale la consapevolezza del “climate change”. Oggi che ha 77 anni, e ha vissuto gli sviluppi dei patti sul clima a partire da Rio nel 1992 per finire a Parigi nel 2015, è convinto che questi ultimi siano solo una bufala ripetuta periodicamente dai governi del mondo, senza che alle parole seguissero i fatti, specialmente da parte di paesi influenti come gli USA e la Germania, che non si sono impegnate sufficientemente. Nel frattempo si è passati da 20 miliardi di tonnellate di CO2 negli anni novanta ai 32 miliardi di tonnellate di oggi, e di questo passo, secondo Hansen, sarà impossibile mantenere l’aumento entro i due gradi, a meno di non tassare i combustibili fossili.

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di M.B.

Onu suggerisce coalizione per ridurre decessi da fattori ambientali

Onu, Oms e Omm hanno formato una coalizione su salute, ambiente e cambiamenti climatici, partendo dal dato di sette milioni di persone morte prematuramente ogni anno nel mondo a causa di rischi ambientali collegati all’inquinamento dell’aria e dell’acqua, oltre che del cibo. La prevenzione è la chiave per ridurre queste morti, dovute a cancro, ictus e patologie respiratorie, tutte malattie collegate all’inquinamento atmosferico, che purtroppo, nonostante l’Accordo di Parigi, continua ad aumentare. L’anidride carbonica è il nemico numero uno da combattere, in quanto la sua immissione nell’atmosfera causa il riscaldamento degli oceani e i disastri naturali come i cicloni e gli uragani, permanendo per migliaia di anni nell’aria e nell’acqua. Altre fonti di inquinamento come macchine a diesel, stufe ed inceneritori sono sì pericolose ma la loro permanenza in atmosfera è più breve.

L’investimento nelle rinnovabili potrebbe salvare molte vite nei prossimi anni, se il mondo coglierà l’opportunità di ridurre l’impronta del carbonio agendo di comune accordo. Inoltre oggi abbiamo tutti gli strumenti per mappare l’inquinamento atmosferico zona per zona, con la possibilità di prevedere tutto dai disastri naturali alle ondate di calore che possono essere letali per i soggetti più deboli. L’appuntamento è a Ginevra il prossimo 30 ottobre alla conferenza globale su inquinamento e salute.

DA Asvis: Alleanza per lo sviluppo sostenibile

A cura di M.B.