Giappone: più colonnine che distributori

In Giappone la rivoluzione del trasporto elettrico ha davvero sfondato: 40.000 punti di ricarica per auto elettriche rispetto ai 31.166 distributori di benzina. Le statistiche, diffuse dalla casa automobilistica Nissan, sono state messe in discussione, in quanto sembrano non tenere in conto del numero effettivo di pompe di benzina e gasolio, maggiori rispetto ai distributori. D’altro canto la Nissan obietta che i calcoli sono basati anche su colonnine presenti presso privati. Sta di fatto che le case automobilistiche e i consumatori hanno pienamente abbracciato la causa del trasporto ecologico in Giappone, le prime per non rischiare di fare la fine di altre aziende conterranee che non hanno saputo adeguarsi al cambiamento. La Nissan ha iniziato a produrre auto ibride qualche anno fa ed ora è pronta a lanciare entro il 2022 ben 12 nuovi modelli di auto elettriche, con l’obiettivo di vendere un milione di auto elettriche. Il governo stesso ha incentivato la presenza di auto elettriche, finanziando i 3000 punti di ricarica presenti nel paese; una fitta rete di punti di ricarica veloci, che permettono entro mezz’ora di ripartire anche per lunghi tragitti.

Se mezz’ora tuttavia è ancora troppo tempo, in Giappone si sta sviluppando anche una tecnologia di ricarica wireless per ricaricare l’auto durante il tragitto o mentre è parcheggiata. In programma ci sono anche il posizionamento di colonnine presso gli onnipresenti minimarket e presso i tradizionali benzinai.

DA “LA STAMPA”

A cura di M.B.

Introduzione al libro “La pallida idea che abbiamo del mondo” di Domenico Ceravolo

Il titolo di questo lavoro sarebbe dovuto essere “Ipotesi di una Class action  culturale e politica sulle responsabilità dell’effetto serra”. Resterà comunque come sottotitolo. Ho rinunciato per timore che il lettore  estremizzasse, superficialmente e rapidamente,  la lettura processuale (sistemica o evolutiva che dir si voglia) degli eventi, che resta il punto fermo delle mie riflessioni. Questa tende alle cause terribilmente vere, talvolta invisibili, che influenzano le decisioni dell’uomo e che lo condizionano sempre, anche  a sua insaputa. Ciò potrebbe sembrare, a prima vista, volere circondare di troppe attenuanti i comportamenti dei protagonisti più diretti di questo evento così drammatico, che è il surriscaldamento planetario, quando è invece il tentativo di incardinare più nel profondo le responsabilità. Quelli, tanti, che vogliono l’uomo dotato di pieno, libero arbitrio e pertanto da chiamare ipso facto a rendere conto dei suoi peccati-reati, in realtà spostano, semplicemente e soltanto, l’asse dalla politica alla magistratura. Sia chiaro, in ogni caso, che la maturazione di una coscienza ambientale, sulla base di una maggiore conoscenza scientifica, va configurando, sempre di più e sempre meglio, sviluppi nella definizione di responsabilità giuridiche, sempre più stringenti. L’effetto serra però, come evento naturale gigantesco che introduce nella nostra storia quotidiana fattori che attentano alla sopravvivenza umana, più di ogni altro nel recente passato, impone il compito di affrontarlo socialmente e politicamente, andando oltre le analisi tradizionali, accrescendo queste di maggiore valore cognitivo. Impone di non affidarsi solo alle indignazioni episodiche e superficiali, dietro cui si nascondono connivenze consapevoli o sublimi ignoranze, e preoccuparsi molto di più delle cause reali, perché queste sono da abbordare, se si vogliono  conseguire i risultati voluti, piuttosto che fermarsi ai sintomi, come è avvenuto finora.

Naturalmente se si trattasse di una disputa a livello puramente “speculativo”, non comincerei nemmeno, ma mi conforta il fatto che l’argomento forte è la configurazione di una drammatica realtà che minaccia tutti, e che tutti, teoricamente, possono vedere e sentire. Voglio chiarire, come faccio sempre, che i risultati di una lettura processuale degli eventi non diverrebbero, ipso facto, verità politiche immediatamente collettive, perché pur sempre la sua penetrazione nelle menti soggiace a una dinamica processuale di resistenze determinate e storiche. Lo provano, in modo esemplare, le verità galileiane e darwiniane. Ma il cambiamento di visuale avrebbe l’effetto di un  forte catalizzatore, che avvierebbe una reazione culturale decisamente nuova e creativa. Una reazione più di “massa” che si affiancherebbe, per correggere, a quella corrente delle elites tecnocratiche.

Questa mia riflessione, di necessità, mi porta ad un duplice  approccio alla questione: dal basso, che sarebbe il più corretto e definitivo, che parte dalla “realtà oggettiva” per risalire in coerenza verso  considerazioni più generali; e dall’alto, secondo l’angolo visuale dominante che finora ha ignorato, di fatto, il surriscaldamento planetario. Se tutto si svolgesse per logica razionale, come si ritiene correntemente che avvengano le cose, bastarebbe  affidarsi al primo, sapendo che, o prima o dopo, tutti vedranno l’impatto dell’effetto serra e verranno così progressivamente a posizioni più adeguate alla grande sfida politica cui siamo chiamati. Quando, non si sa, ma verrebbero! Ma occorre fare i conti con una cultura dominante che ha già ignorato l’avvio di questo gigantesco processo e continua ad ignorarlo, lungo vari filoni ideologici che cercherò di identificare, almeno fra i maggiori. C’è dunque una lotta culturale che deve accompagnarsi alle scoperte indicate dall’evoluzione della realtà naturale. Nessuna illusione dunque che la configurazione di questo gigantesco processo perturbativo, che entra nella nostra vita, basti da solo per correggere la visuale con cui vediamo il mondo e per partire tutti, per la prima volta, dal basso, dai “ problemi concreti”, come si suol dire. Avverrebbe troppo tardi quando, secondo le preoccupazioni di molti scienziati, il drammatico evento avrà raggiunto la sua soglia devastante  ed irreversibile. Anzi sembra che le cose si stiano già “registrando” su questo asse formativo. In realtà dobbiamo dunque, al più presto, impegnarci a sciogliere gradualmente un viluppo culturale  estremamente intricato e intrigante.

Ho potuto constatare quanto sia arretrato il nostro sguardo politico, che non siamo stati “liberi” di ampliare, man mano che grandi eventi storici ci sono passati addosso. E qui ho capito l’importanza di “aggiungere” al pensiero tradizionale un coefficiente nuovo e decisivo. In altri tempi storici il fattore della realtà oggettiva, il mondo in cui viviamo biologicamente e socialmente, da inserire nella nostra visuale, sarebbe stato, come in effetti è stato, un affare di filosofia senza fine, per definire chi siamo noi e che cosa è la natura: un pensiero senza direzione di marcia verificabile.  Oggi però,  una circostanza perentoria, la prima catastrofe planetaria di origine antropica, ci sovrasta con prepotenza e c’impone, in tempi e luoghi determinati, di reagire politicamente con urgenza. Si definisce sempre meglio l’area del che fare.  L’iniziativa politica, che oggi è ingarbugliata in mille pensieri caduchi, deve trovare la via più breve verso l’obiettivo, che non è più, purtroppo, di impedire, in termini preventivi, la catastrofe , bensì di minimizzarne i costi in termini di sofferenze umane e sociali. Che, guardato sotto il profilo del rilancio di una nuova politica, da tutti invocata, è quanto di più umanitario e democratico si possa  immaginare. La politica non è tutto, ma quando si entra in una crisi così profonda che sgretola gli elementi di base su cui si costruisce il patto sociale, è da qui che bisogna partire, dando risposte che abbiano un “senso” di marcia, che attingano agli interessi vitali dell’umanità, quelli della sopravvivenza, con cui storicamente i nostri antenati si sono dovuti misurare più volte, in condizioni di arretratezza tecnico-culturale e con costi enormi che ancora non conosciamo del tutto.  E’ una condizione che potrà avviare “istintivi” comportamenti sociali difensivi di milioni di persone, che costituiscono una forza con cui dovranno fare i conti anche i potentati dell’economia e della comunicazione. Non milioni di persone smarriti nella propria individualità e arroganza, ma dotati di un bisogno ritrovato di solidarietà per affrontare un pericolo nuovo e fortemente minaccioso.

La pallida idea che abbiamo del mondo

La pallida idea che abbiamo del mondo

Di Domenico Ceravolo

Edito da Edizioni Libreria Progetto Padova

Occorre fare i conti con una cultura dominante che ha già ignorato l’avvio di questo gigantesco processo e continua ad ignorarlo, lungo vari filoni ideologici che cercherò di identificare, almeno fra i maggiori. C’è dunque una lotta culturale che deve accompagnarsi alle scoperte indicate dall’evoluzione della realtà naturale. Nessuna illusione che la configurazione di questo gigantesco processo perturbativo, che entra nella nostra vita, basti da solo per correggere la visuale con cui vediamo il mondo e per partire tutti, per la prima volta, dal basso, dai “problemi concreti”, come si suol dire. Avverrebbe troppo tardi quando, secondo le preoccupazioni di molti scienziati, il drammarico evento avrà raggiunto la sua soglia devastante ed irreversibile. Anzi sembra che le cose si stiano già “registrando” su questo asse formativo. In realtà dobbiamo dunque, al più presto, impegnarci a sciogliere gradualmente un viluppo culturale estremamente intricato e intrigante. Ho potuto constatare quanto sia arretrato il nostro sguardo politico, che non siamo stati “liberi” di ampliare, man mano che grandi eventi storici ci sono passati addosso. E qui ho capito l’importanza di “aggiungere” al pensiero tradizionale un coefficiente nuovo e decisivo. In altri tempi storici il fattore della realtà oggettiva, il mondo in cui viviamo biologicamente e socialmente, da inserire nella nostra visuale, sarebbe stato, come in effetti è stato, un affare di filosofia senza fine, per definire che siamo noi e che cosa è la natura: un pensiero senza direzione di marcia verificabile. Oggi però, una circostanza perentoria, la prima catastrofe planetaria di origine atropica, ci sovrasta con prepotenza e c’impone, in tempi e luoghi determinati, di reagire politicamente con urgenza. Si definisce sempre meglio l’area del che fare. L’iniziativa politica, che oggi è ingarbugliata in mille pensieri caduchi, deve trovare la via più breve verso l’obiettivo, che non è più, purtroppo, di impedire, in termini preventivi, la catastrofe, bensì di minimizzare i costi in termini di sofferenze umane e sociali. Che, guardato sotto il profilo del rilancio di una nuova politica, da tutti invocata, è quanto di più umanitario e democratico si possa immaginare.

Domenico Ceravolo, è autore del saggio Il senso di marcia e la speranza che ha ricevuto la prefazione di Edoardo Boncinelli. Ora pubblica La pallida idea che abbiamo del mondo, sempre sulla preoccupazione della grave sfida che l’effetto serra costituisce per la politica, impreparata ad affrontarlo, perché prigioniera degli stessi schemi culturali che hanno permesso l’incubazione del primo disastro planetario causato dall’uomo.

Il Sahara si sta espandendo

Il Sahara è avanzato del 10% durante l’ultimo secolo, a causa del riscaldamento globale e le scarse precipitazioni. Uno studio pubblicato sul  Journal of Climate dell’American Meteorological Society ha preso in esame le precipitazioni e le temperature dal 1920 al 2013, confrontandole con immagini satellitari dell’espansione del deserto. Gli scienziati hanno constatato che l’espansione del Sahara è polidirezionale (verso nord e anche verso sud) e che con ogni probabilità il fenomeno espansivo dei deserti è molto simile anche nel resto del mondo.

Il regime di precipitazioni stagionali è cambiato molto in Africa dal 1902 ad oggi, e ciò rende sempre più arido il Sahel, riducendone le aree fertili e coltivabili, con grande danno per i locali.

DA “ANSA.IT”

A cura di M.B.

Portogallo: l’energia verde supera i consumi

L’Europa macina record nel settore delle rinnovabili, con l’ultimo straordinario risultato conseguito dal Portogallo, dove a marzo la produzione delle sole energie rinnovabili ha superato il consumo di energia elettrica nel paese. La produzione elettrica da fonti rinnovabili ha toccato il suo minimo il 7 marzo, quando ha fornito l’86% dell’elettricità complessiva consumata in Portogallo, e il suo massimo l’11 marzo, quando ha generato una quantità di energia pari al 143% della domanda. Tra le fonti, l’idroelettrico ha soddisfatto il 55% del fabbisogno e l’eolico il 42%. Secondo Apren, l’associazione portoghese per le energie rinnovabili, da cui provengono questi dati, le energie rinnovabili hanno impedito l’immissione di 1,8 milioni di tonnellate di CO2, e addirittura presagisce nel 2040 una copertura totale del fabbisogno energetico portoghese attraverso le energie verdi. Il Portogallo è solo uno degli esempi in Europa: l’eolico, ad esempio, va alla grande in Scozia, dove a maggio scorso ha coperto il fabbisogno energetico del 95%. Per quanto riguarda sempre l’energia tratta dal vento, l’Italia si posiziona al quinto posto con 113 GWh (14,5% della domanda) dopo Germania, Spagna, Francia e UK.

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di M.B.