Le microplastiche nel nostro corpo

Una ricerca condotta dall’Agenzia per l’Ambiente austriaca ha appurato la presenza di polimeri delle microplastiche nelle feci umane; dopo i gabbiani, i pesci e il sale marino, la conclusione scientifica inevitabile è arrivata, ovvero che anche noi siamo contaminati. Forse addirittura il 50% degli esseri umani porterebbe nel proprio corpo tracce di microplastiche. Le particelle rinvenute vanno dai 5 ai 500 micrometri e sono state trovate in un campione di 8 persone provenienti da Europa, Russia e Giappone, non vegetariane. Su 10 varietà di microplastiche ne sono state attestate 9 nei corpi dei partecipanti e le tipologie più comuni sono polipropilene e polietilene tereftalato. 20 particelle ogni 10 grammi di feci in media. Le microplastiche sono capaci di inserirsi nel flusso sanguigno e linfatico, raggiungendo l’apparato intestinale causando potenzialmente malattie. Ridurre l’utilizzo della plastica è necessario, e le grandi responsabili sono le multinazionali soprattutto del settore alimentare e cosmetico, le quali devono impegnarsi a non utilizzare più imballaggi non riciclabili. Aziende quali Coca Cola, Unilever, Mondelez, Pepsico, Kraft Heinz, Procter & Gamble, Mars, Nestlè, Danone e Colgate Palmolive, secondo un sondaggio di Greenpeace, non condividono oppure non conoscono la quantità di imballaggi prodotti e la fine del loro ciclo di vita. Sebbene abbiano tra le loro politiche la riciclabilità degli imballaggi, nessuno sforzo economico a monte è stato fatto per incrementare questo aspetto e nessuno studio su sistemi alternativi di consegna e distribuzione.

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di M.B.

 

Ammoniaca motore green?

Il futuro è nella mobilità a emissioni nocive zero, ma ancora oggi il mercato delle macchine elettriche in Italia stenta a decollare (nel 2017 solo 2000 auto elettriche vendute, lo 0,1% del totale) anche a causa dei prezzi. Nell’attesa dell’avvento dell’elettrico dai costi bassi e le batterie ecologicamente smaltibili, si sperimenta ogni possibile nuova fonte energetica che possa far funzionare le nostre macchine senza inquinare l’ambiente. Il biofuel, ad oggi, rimane la più studiata alternativa (in parte carburante in parte costituito da biomasse e coltivazioni mirate), che presenta però un grande problema: sarebbe necessario abbattere aree boschive e aree di agricoltura tradizionale per far spazio alle colture per biofuel, e ciò impatterebbe negativamente sull’ambiente. Un’ulteriore alternativa ci sarebbe: l’ammoniaca, un gas in grado di essere utilizzato anche allo stato liquido grazie a minime alterazioni; se la sua molecola viene colpita da laser, i legami tra azoto e idrogeno si spezzano e l’idrogeno può fare da propulsore per i veicoli. L’emissione residua è costituita da vapori acquei, che costituiscono l’80% dell’aria. Insomma una sintesi chimica in futuro potrebbe essere la soluzione ai nostri interrogativi sui trasporti green.

DA “LA STAMPA”

A cura di M.B.

Microplastica nel sale da cucina

Greenpeace allerta i consumatori: da un nuovo studio in collaborazione con l’Università di Incheon in Corea del Sud, pubblicato su Environmental Science and Technology, è emerso che il 90% del sale che finisce sulle nostre tavole è contaminato da microplastiche inferiori ai 5 mm; i dati peggiori per concentrazione riguardano l’Asia. Il materiale trovato è Polietilene, PET e Polipropilene, i più utilizzati per gli imballaggi usa e getta. La contaminazione ormai è un dato di fatto a cui è impossibile sfuggire, tra pesci che ingurgitano plastica, rubinetti e cosmetici recanti microplastiche. E’ necessario agire al più presto per bandire la plastica usa e getta prima che diventi un serio rischio per la salute umana; Greenpeace ha già lanciato una petizione per far sì che le multinazionali smettano di utilizzare plastiche monouso.

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di M.B.

Il nuovo rapporto del Club di Roma

Il Club di Roma, fondato cinquant’anni fa da Aurelio Peccei ed Alexander King, era considerato un ente visionario, ma oggi sappiamo che le loro erano previsioni accurate: già dal 1972 il Club di Roma aveva messo in guardia sui pericoli di una crescita incontrollata, aveva tracciato un Rapporto sui limiti dello sviluppo rimasto largamente ignoto. Inascoltati gli appelli lanciati, in quanto il modello di sviluppo è rimasto sempre lo stesso, fino alla crisi dieci anni fa. Oggi quasi 8 miliardi di esseri umani abitano il nostro pianeta e devono poter usufruire delle risorse che esso ci offre: se non impariamo dai nostri errori invertendo una volta per tutte la rotta economica, allontanandola dal modello del dopoguerra, non riusciremo a sopravvivere come specie. Il nuovo rapporto del Club di Roma, in occasione della celebrazione di mezzo secolo di attività, ha insito nel proprio titolo l’urgenza del cambiamento: Come On! Dal primo rapporto la situazione della Terra è cambiata drasticamente: un incremento spaventoso della popolazione, il 97% degli animali composto da poche specie da allevamento e le concentrazioni di gas serra, sempre più alte, che rischiano di far schizzare la temperatura a +3 gradi centigradi rispetto alla media preindustriale. Crisi economiche, sociali e ambientali si sommano a creare povertà, instabilità e sfiducia nei governi. I governi hanno stanziato 100 miliardi di dollari per ridurre i gas serra, ma a cosa mai serviranno se una cifra sei volte tanto viene stanziata per cercare combustibili fossili?

L’ultimo rapporto IPCC insieme al rapporto del Club di Roma ci impongono di guardare in faccia la realtà e soprattutto agire, perché il tempo sta scadendo. I consumatori stanno iniziando ad avere maggiore consapevolezza e più imprese e multinazionali (Coop, Novamont, Sofidel, Enel e LVHM/Bulgari) stanno portando avanti progetti su vari fronti ambientali, quali la riduzione dell’utilizzo della plastica, la gestione dei rifiuti, la riduzione delle emissioni nocive e contro il disboscamento selvaggio. E’ ora di chiedersi come ognuno possa contribuire perché queste non siano iniziative isolate.

DA “LA STAMPA”

A cura di M.B.

Quante persone credono al riscaldamento globale?

L’anno scorso, secondo un sondaggio dell’Eurobarometro, tre persone su quattro (74%) percepivano il cambiamento climatico come un problema serio ed imminente, sei punti in più rispetto al 2011. Tuttavia i cittadini europei lo considerano solo il terzo tra i problemi più importanti per il mondo: prima ci sono la povertà e la fame (solo il 12 % degli intervistati lo considera il più importante, in netto calo rispetto al 20% espresso nel 2011, quando il problema era meno sentito in generale ma considerato più grave da coloro che lo riconoscevano). In Italia solo il 7% lo considera il problema più grave, mentre in Francia è così per il 14% e in Norvegia per il 38%. In UK, Germania, Francia e Norvegia la stragrande maggioranza della popolazione crede che il clima stia cambiando; i più scettici sono i tedeschi, al 16%, mentre gli scettici norvegesi sono solo il 4%. In USA invece, solo il 66% delle persone crede al cambiamento climatico, percentuale in calo rispetto all’anno scorso.

DA “LA STAMPA”

A cura di M.B.