Cosa accadrà senza oranghi e scimpanzé

Nel nuovo studio internazionale pubblicato sulla rivista Science Advances, si affronta il tema dell’importanza dei primati per la crescita e la preservazione delle foreste tropicali. Le grandi scimmie come gorilla, oranghi e scimpanzé, i quali si nutrono prevalentemente di frutta, spargono intatti, dopo la digestione, i semi associati alle specie di alberi più imponenti e a maggiore densità legnosa, ovvero quegli alberi che immagazzinano meglio l’anidride carbonica, che altrimenti si libererebbe nell’atmosfera a nostro danno. Grandi mammiferi ed uccelli, minacciati da caccia, traffico illegale e perdita di habitat (tanto che metà dei primati presenti nel mondo è a rischio estinzione), sono coloro che favoriscono la presenza delle grandi latifoglie, dunque bisognerebbe non solo contrastare la deforestazione, ma proteggere la fauna che svolge servizi ecosistemici indispensabili come questo.

A cura di M.B.

DA “LA STAMPA”

Servono misure correttive per gli accordi di Parigi

Il risultato della conferenza di Parigi mostra delle criticità nel fatto che non ci sono sanzioni per i paesi che non rispettano gli obiettivi che si sono dati e il sistema dei controlli è ancora da mettere a punto. Il rafforzamento del target che i governi si sono auto assegnati (peraltro solo parzialmente sufficienti per evitare il rischio catastrofe) è affidato ad un meccanismo debole, inoltre il testo non esplicita direttamente la necessità di far scendere le emissioni di gas serra per scongiurare l’aumento della temperatura di più di 2°. Servono ulteriori misure correttive che non possono rimanere non dette o sottintese.

A cura di M.B.

DA “LA REPUBBLICA”

Il lago Poopò in Bolivia è prosciugato

Dopo il Titicaca, il Lago Poopò, nel dipartimento di Oruro, è il più grande della Bolivia, ma è completamente prosciugato. Senz’acqua sono morti milioni di animali e gli abitanti delle zone circostanti sono stati costretti ad emigrare. Tra le cause non ci sono solo la siccità e il cambiamento climatico, ma anche l’inquinamento minerario e l’uso delle acque degli affluenti per l’irrigazione delle terre dei paesi confinanti.

A cura di M.B.

DA “IL CORRIERE DELLA SERA”

COP21: Modesta partenza

L’accordo sul clima siglato nel Dicembre 2015 da 195 paesi, prevede il mantenimento della soglia di riscaldamento globale al di sotto dei 2 gradi (possibilmente 1,5) rispetto all’era preindustriale entro il 2100. Tuttavia risulta una partenza modesta, in quanto esso non è vincolante e si basa su piani nazionali volontari di riduzione delle emissioni di gas serra; l’accordo punta ad una “neutralità delle emissioni” nella seconda metà del secolo (bilancio tra residue emissioni antropiche e il loro assorbimento nel suolo e foreste o il loro “sequestro” tramite tecnologie, mezzi tuttavia di dubbia efficacia). La verifica degli impegni presi avverrà ogni 5 anni a partire dal 2023 e gli impegni dei paesi sono commisurati alle singole capacità economiche e tecnologiche oltre che alle singole responsabilità nelle emissioni dei gas serra. Inoltre i paesi più sviluppati aiuteranno i paesi emergenti a fronteggiare l’adattamento ai cambiamenti climatici attraverso un fondo di 100 miliardi di dollari da sbloccare nel 2020, anno in cui l’accordo diverrà operativo a condizione che 55 paesi responsabili complessivamente del 55 % delle emissioni globali lo ratifichino. L’accordo è certamente di portata storica in quanto è il primo ad essere universale (Kyoto non includeva i paesi emergenti) e dunque vi è un riconoscimento a livello globale del problema, ma non risulta ancora sufficiente a metterci al sicuro da catastrofi naturali e destabilizzazione degli ecosistemi terrestri. L’incremento termico realisticamente prevedibile è di 2,7 gradi entro il 2100, quindi molto di più dei 2 gradi previsti, e ciò porterà alla scomparsa della banchisa artica e parte delle calotte di Antartide e Groenlandia, dunque innalzamento dei mari e caldo estremo che porterà malattie tropicali, crisi sanitarie, migrazioni ed eventi atmosferici estremi.

 

L’effettiva applicazione dell’accordo resta dubbia quindi per molti scienziati come James Hansen, ex Nasa e attivista, il quale sostiene che l’unico modo per tagliare le emissioni è l’imposizione di una tassa sulla produzione di gas climalteranti. Senza dubbio l’accordo è un passo avanti, ma necessiterà di ulteriori rafforzamenti e impegni, nel frattempo dovremmo cercare il più possibile come società di fare scelte consapevoli nella vita di tutti i giorni ed elaborare strategie di adattamento.

A cura di M.B.

DA BLOG “NIMBUS”

Dalla lentezza all’azione

In un’intervista a seguito dell’accordo di Parigi, Luca Mercalli, scienziato meteorologo, sottolinea quanto sia importante a livello simbolico e politico l’intesa epocale tra 195 governi sul cambiamento climatico e quanto rappresenti un passo in avanti rispetto a Kyoto (non siglato dai paesi emergenti e comunque ampiamente disatteso) e a Rio de Janeiro 1992 (un meeting caratterizzato secondo Mercalli dalla lentezza), eppure sottolinea anche quanto sia ancora un accordo inadatto ad affrontare l’enorme sfida che ci pone il clima. Gli impegni presi costituiscono ancora una modesta acquisizione nonostante tutto, in quanto le proposte di riduzione delle emissioni messe sul piatto dai vari paesi non sono ancora sufficienti e sommate insieme non raggiungerebbero l’obiettivo di contenere il riscaldamento entro i due gradi, bensì entro i tre. Volendo anche agire seriamente e immediatamente, servirebbero anni di lavoro, miliardi di pannelli solari, auto elettriche, turbine eoliche, tassazioni delle emissioni e tanta educazione ambientale per costruire un percorso di sostenibilità ambientale e non tutti i paesi hanno le risorse o sono disposti a fare questo sforzo.

Mercalli immagina l’umanità che viaggia su un aereo che sta per cadere, dove, invece di trovare tutti insieme un modo di atterrare, si perde tempo prezioso a litigare tra chi ha volato in prima classe e chi è rimasto nella stiva, e con ciò fa chiaramente riferimento rispettivamente ai paesi sviluppati che si sono arricchiti a danno dell’ambiente e ai paesi emergenti che a loro volta vogliono inquinare a piacimento per non essere da meno. La realtà che i passeggeri hanno perso di vista è che la priorità è non schiantarsi al suolo, o almeno prendere quelle misure per non farsi troppo male nell’atterraggio.

A cura di M.B.

DA RSI RADIO TELEVISIONE SVIZZERA