Nel 2019 il
Brasile si avvia ad essere il maggiore produttore di soia dopo gli Stati Uniti,
con un raccolto attorno ai 117 milioni di tonnellate. La soia viene esportata
principalmente verso Europa e Cina, dove viene utilizzata spesso come mangime
proteico per allevamenti. Tuttavia secondo il WWF, l’espansione della
superficie per la coltivazione della soia nella regione a ricca biodiversità
del Cerrado, sarà deleteria: ci vive il 5% del totale delle specie animali e
vegetali presenti sulla terra, ma solo il 3% della sua superficie è area
protetta. Sono già avvenute importanti deforestazioni a causa delle
coltivazioni di soia (solo quest’anno circa 6657 km quadrati). Per non parlare
dei danni che arrecherà l’espansione incontrollata dell’agricoltura industriale
ai tre bacini idrici dei fiumi principali del paese. Negli ultimi anni ci sono
stati fenomeni di siccità e depauperamento delle risorse che vengono usate per
irrigare i campi, mentre i villaggi circostanti non hanno da bere e la portata
dei fiumi diminuisce. Inoltre la popolazione del Cerrado sta subendo il
cosiddetto “land grabbing”, terreni da cui la gente comune viene sfrattata per
far posto alle coltivazioni, che portano contaminazione del suolo e delle acque
attraverso l’uso dei pesticidi chimici, oltre a prosciugare le risorse di
intere comunità che non sanno più di che vivere. Tutto dipende ora dal nuovo
governo Bolsonaro, ma alcuni esponenti delle Ong locali che si occupano del
Cerrado preferiscono rimanere anonimi, in quanto la questione ambientale in
questa nazione è estremamente scottante e gli ambientalisti sono frequentemente
oggetto di violenza.
DA “IL CORRIERE DELLA SERA”
A cura di
M.B.