Incontro tra premier indiano Modi e Trump: nessuna parola sul clima

Nonostante il dibattito acceso intercorso tra India e Stati Uniti negli ultimi tempi a seguito dell’adesione all’accordo di Parigi dell’uno e del ritiro dell’altro, nell’ultimo incontro avvenuto a giugno tra il presidente indiano Modi e il presidente Trump, non è stato fatto il minimo cenno al problema del mutamento climatico. Di recente Trump si era scagliato contro l’India accusando il paese di aver firmato l’accordo di Parigi al solo fine di ricevere svariati milioni di aiuti da parte dei paesi più sviluppati; al che il ministro degli affari esteri Swaraj aveva risposto indignato che l’accordo di Parigi non era stato firmato per avidità ma per il nobile scopo di proteggere l’ambiente.

Tuttavia all’incontro tra i due capi di stato non ci sono state dichiarazioni pubbliche sul clima: segno di disaccordo o di apatia? Manish Bapna, vice presidente del World Resources Institute propende per il primo. Ma, dati alla mano, cosa sta veramente accadendo in India sul fronte delle rinnovabili?La settimana scorsa la Coal India, una delle più grandi aziende che gestiscono miniere di carbone, ha annunciato la chiusura di ben 37 miniere entro marzo prossimo. Secondo l’Institute for Energy Economics and Financial Analysis, è un netto segnale della transizione alle rinnovabili in atto, favorita dalla diminuzione dei prezzi nel solare; l’India è infatti il terzo paese per produzione di energia solare al mondo. D’altro canto l’India, insieme alla Cina, è tra i paesi che si sono posti gli obiettivi più ambiziosi nell’accordo di Parigi, ovvero di diminuire le emissioni nocive del 33 % entro il 2030. Nonostante tutto ciò, che farebbe ben sperare, l’industria delle miniere di carbone si è espansa del 4 % nei primi mesi del 2017 e resta da vedere se è un aumento temporaneo o una preoccupante inversione di marcia.

A cura di M.B.

DA SITO INSIDE CLIMATE NEWS

Africa: nel Sahel si prepara la più grande migrazione della storia

L’Africa subsahariana e il poverissimo Sahel, pur avendo una minima responsabilità nel surriscaldamento globale rispetto ai paesi ricchi, sono e saranno nei prossimi cent’anni, tra i luoghi più flagellati del mondo da siccità e carestie. Già il Corno d’Africa ha subito nel recente passato delle tremende carestie, ma continueranno ad aumentare in intensità e drammaticità a causa del numero di persone coinvolte. Milioni di persone soffrono per l’assenza totale o quasi di cibo, acqua e mezzi di sussistenza, i raccolti di grano e mais dell’Africa subsahariana sono probabilmente destinati a crollare entro il 2040 a causa dell’inservibilità delle terre coltivabili del 40-80%. La maggior parte delle donne dell’Africa subsahariana partoriscono un gran numero di figli (c’è una media di 7,6 figli per donna in Niger) in quanto non hanno a disposizione contraccettivi e non posseggono la nozione di pianificazione familiare. Entro il 2100, solo nell’area del Sahel, la popolazione potrebbe aumentare sino a 670 milioni di persone. Le migrazioni, già definite dalle diplomatiche e controllate Nazioni Unite una “mission impossible”, potrebbero assumere una portata apocalittica secondo una previsione del Washington Post, secondo il quale entro fine secolo il Sahel s’inaridirà del tutto, e milioni di persone saranno costrette ad emigrare. Nella speranza che questo scenario sia troppo pessimistico, nel frattempo è necessario agire per controllare l’impennata demografica, trascurata colpevolmente dai governi locali, avidi e senza scrupoli, e dalla comunità internazionale, che, anche quando non si gira dall’altra parte, non riesce a focalizzare l’attenzione su aiuti mirati (in 45 pagine prodotte dalle Nazioni Unite sul Sahel, non una parola è stata spesa per il controllo demografico).

DA “LA STAMPA”

A cura di M.B.

Siccità: in molte regioni manca l’acqua

L’emergenza caldo e siccità si aggrava sempre di più da Nord a Sud in Italia, dovendo far fronte ai giorni più caldi dell’ultimo anticiclone nordafricano, che sta portando siccità nei campi, sofferenza del bestiame e carenza di risorse idriche. Ecco la situazione delle varie regioni:

SARDEGNA: Stato di emergenza per calamità naturale. Il quadriennio più caldo dal 1922. Nel 2015-2016 la pioggia è diminuita del 30-40% rispetto alla media. Negli ultimi tre mesi fino a meno 70-90% rispetto alla media.

VENETO: Stato di crisi idrica da maggio, con situazione di particolare gravità per l’Adige con conseguenze sugli acquedotti.

SICILIA: Negli ultimi 12 mesi le riserve idriche sono calate del 15 %. Perdite registrate fino a 18 milioni di metri cubi nell’invaso dell’Ogliastro.

FRIULI VENEZIA GIULIA: Emergenza idrica e precipitazioni ridotte fino al 40-50 % nel bacino montano del fiume Tagliamento.

A Parma e Piacenza è stato proclamato lo stato d’emergenza per la siccità e la stagione turistica si preannuncia difficile; inoltre Coldiretti lancia l’allarme sulle perdite nel mercato ortofrutticolo, nel settore caseario e vinicolo. Non è solo l’assenza d’acqua a preoccupare, ma anche gli incendi, soprattutto dal momento che Molise, Basilicata, Umbria, Abruzzo e Marche hanno dichiarato di non disporre di elicotteri per far fronte a questo tipo di emergenza. Purtroppo l’Italia risente del mutamento climatico che ha portato la temperatura a livello planetario di 0,29 gradi superiore rispetto al secolo scorso e l’acqua, risorsa imprescindibile per la vita, scarseggia in molte zone insieme al cibo, e porta con sé le tragedie delle migrazioni.

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di M.B.

Portogallo: incendio devasta boschi intorno a Pedrogao Grande. 43 vittime

Da sabato la cittadina di Pedrogão Grande, a 150 km da Lisbona, è devastata da un incendio di portata spaventosa, innescato da un fulmine abbattutosi sulla vegetazione boschiva; 43 sono le vittime accertate secondo il ministero dell’interno, e la maggior parte di esse sono state trovate carbonizzate nelle loro automobili sulla strada tra Figueiro dos Vinhos e Castanheira de Pera.

Non si sa se stessero fuggendo dalle fiamme oppure se l’incendio li abbia colti di sorpresa alla guida. Il fuoco ha distrutto anche delle abitazioni nella zona. Si tratta dell’incendio più grave avvenuto in Portogallo e in Europa negli ultimi anni; Protezione civile e Canadair sono in azione per spegnere i 4 fronti dell’incendio, con l’aiuto di mezzi provenienti da Francia, Spagna e Italia. Il caldo estremo degli ultimi giorni, con punte di 40º, ha scatenato questo inferno di fuoco.

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di M.B.

Cinquemila metri zero termico

Le montagne europee fanno sempre di più i conti con l’assenza di ghiaccio; nemmeno sulla sommità della vetta più alta d’Europa, il Monte Bianco, si riescono ad osservare i ghiacci questo mese. L’agonia è iniziata vent’anni fa, ma è dall’estate 2003 che l’inclemenza del tempo non ha più nulla a che fare con le bufere, ma solo con la febbre di una calura estrema. La Valle d’Aosta, terra con l’altitudine più alta d’Europa (2000 metri), continua a perdere ghiaccio, ha perso l’1% dei suoi ghiacci in 7 anni, dal 2005 al 2012, 30 chilometri quadrati su 120, un’estensione che equivale a 6000 campi di calcio. Studiosi del clima e geologi, guide alpine, tutti confermano come il gigante di neve, il Monte Bianco, si sia trasformato in gigante febbricitante, sul quale si può passeggiare tranquillamente in t-shirt, e la cui escursione termica tra giorno e notte è quasi sparita. L’Arpa ha osservato che più volte negli ultimi 15 giorni la sommità del Monte Bianco ha subito temperature superiori allo zero (e fino a 12º a mezzogiorno) e ciò vuol dire che molti ghiacciai, sia sul fronte italiano che francese sono in pericolo di crolli e valanghe e molti percorsi degli alpinisti dovranno essere modificati poiché resi pericolosi e irriconoscibili dalla mancanza di neve e ghiacci.

DA “LA STAMPA”

A cura di M.B.