La bolla nel ghiaccio

L’analisi delle bolle d’aria intrappolate nel ghiaccio dell’Antartide indicano che più aumenterà il riscaldamento globale, più il terreno e le piante rilasceranno anidride carbonica in atmosfera. Nature Geoscience ha pubblicato questa ricerca effettuata sui ghiacci del Low Dome, che conservano nella composizione dell’aria la “memoria” di decine e decine di migliaia di anni fa. Attraverso questa ricerca si comprende la portata e gli effetti dell’anidride carbonica di origine antropica, ed essa sostiene che per ogni grado di aumento della temperatura globale, la biosfera terrestre reagisce aumentando la concentrazione di CO in atmosfera di ben 20 parti per milione, quando è accertato che i livelli attuali hanno superato la soglia di 400 ppm. Sostanzialmente i ghiacci ci forniscono un feedback (attraverso le bolle d’aria) sul riscaldamento globale e ciò ci fa prevedere anche che abbiamo meno margine di quanto pensavamo per rispettare l’obiettivo dei due gradi rispetto ai livelli preindustriali e dunque il nostro budget di CO che possiamo emettere è minore perché la reazione della terra è sempre amplificata.

A cura di M.B.

DA SITO “RINNOVABILI”

Supereremo la soglia di 1,5° C

I livelli di concentrazione di CO in atmosfera sono arrivati a 400 ppm e pare che ci condanneranno a superare la soglia dell’aumento di 1,5 gradi rispetto ai livelli di riscaldamento globale preindustriali; questa notizia arriva a pochi mesi dal tanto pubblicizzato accordo di Parigi ed è l’affermazione netta di una ricerca dell’università di Exeter pubblicata sulla rivista Scientific Reports. Siamo entrati in una fase di disequilibrio climatico che non sarà reversibile anche se non inquinassimo più da subito, infatti il nuovo assestamento porterà inevitabilmente ad un aumento delle temperature. Tutto ciò non va preso come allarmismo, bensì come un’opportunità da cogliere per correre ai ripari sul lungo termine.

A cura di M.B.

DA SITO “RINNOVABILI”

Incendi devastano le foreste siberiane

In Russia il 2016 potrebbe essere l’anno peggiore per le foreste siberiane, anche a causa del riscaldamento globale; pare che in fumo siano già andati 3,5 milioni di ettari in tutto il paese, il che equivale ad un’area grande come il Belgio, come denuncia Greenpeace. Quest’evento sarebbe di portata ancora maggiore di quello che è avvenuto in Canada, che ha devastato 240.000 ettari, perché negli stessi giorni la Siberia aveva già perso un milione di ettari e forse il peggio deve ancora arrivare. Gli studi dell’Agenzia per il clima e l’ambiente di Mosca rilevano che tra 1976 e il 2012 la temperatura media nel paese si è alzata di ben 0,43 gradi, ovvero più del doppio del livello globale, attestato attorno allo 0,17. Ciò che preoccupa è anche la tendenza di questo fenomeno alla creazione di un circolo vizioso: l’incendio provoca fumi e ceneri e questi ultimi contribuiscono ad aumentare a loro volta le temperature.

A cura di M.B.

DA SITO “RINNOVABILI”

Fallito obiettivo 1,5° C

Ormai la comunità scientifica, in base ad una ricerca pubblicata su Nature Climate Change, ha classificato come utopia il mantenimento del riscaldamento globale al di sotto di 1,5 gradi rispetto ai livelli preindustriali (previsto dall’accordo di Parigi), e anche l’obiettivo del contenimento entro i 2 gradi sembra essere a rischio. Immaginando anche uno scenario in cui le emissioni CO rimangono alla quota più bassa seguendo le politiche energetiche e ambientali messe in campo, si arriverebbe comunque a superare temporaneamente il limite degli 1,5 gradi prima del 2100.

Gli obiettivi di mitigazione delle emissioni sono insufficienti, e in base a ricerche più pessimistiche, considerando crescita economica, aumento demografico e consumo di energia pro capite, si potrebbe sfondare la soglia dei 2 gradi in più entro il 2030 e 1,5 gradi entro il 2020.

Tutto ciò dipenderà dall’atteggiamento che avranno gli stati, specialmente i grandi inquinatori, nel rispettare i deboli impegni sottoscritti in occasione di COP21.

A cura di M.B.

DA SITO “RINNOVABILI”

Acqua (non) potabile in Cina

In Cina le autorità si trovano davanti ad una vera e propria emergenza idrica: oltre 300 milioni di cinesi non hanno accesso all’acqua potabile, il 90 % delle falde acquifere in prossimità delle metropoli sono inquinate come anche il 70 % dei fiumi e dei laghi. Le statistiche affermano inoltre che due terzi delle falde e un terzo delle acque di superficie in Cina sono “inadatte al contatto con l’uomo”. Purtroppo nell’acqua sono presenti spesso alti livelli di arsenico che può causare a lungo andare problemi alla pelle e cancri in varie parti del corpo, tanto che molti villaggi sono tristemente noti come “villaggi del cancro”, a causa delle acque di falda portatrici di malattie. L’acqua inoltre risulta inquinata anche a centinaia di metri di profondità per colpa delle sostanze tossiche accumulate nel suolo e solo il 20 % delle acque considerate potabili soddisfa gli standard internazionali. Il governo ha stanziato 58 miliardi per il miglioramento della qualità dell’acqua e ha fissato alcuni obiettivi temporali: entro il 2020 il 93 % dell’acqua potabile dovrà essere pari o migliore del livello tre (su una scala 1 a 6 partendo dall’1 con l’acqua di qualità migliore), le industrie fortemente inquinanti dovranno chiudere entro il 2016 e nel 2020 il 70 % delle acque di superficie tornerà ad essere in buone condizioni.

Tuttavia il cambiamento climatico sta portando ad una progressiva desertificazione specialmente delle aree settentrionali, e il deserto del Gobi “ruba” alla Cina ogni anno l’equivalente del territorio della Valle d’Aosta, il che si traduce in milioni di persone che combattono e combatteranno quotidianamente con la carenza di acqua e l’erosione dei suoli, che crea una perdita milionaria al paese, tutto nonostante i piani delle autorità.

A cura di M.B.

DA “LA STAMPA”