Il lago Poopò in Bolivia è prosciugato

Dopo il Titicaca, il Lago Poopò, nel dipartimento di Oruro, è il più grande della Bolivia, ma è completamente prosciugato. Senz’acqua sono morti milioni di animali e gli abitanti delle zone circostanti sono stati costretti ad emigrare. Tra le cause non ci sono solo la siccità e il cambiamento climatico, ma anche l’inquinamento minerario e l’uso delle acque degli affluenti per l’irrigazione delle terre dei paesi confinanti.

A cura di M.B.

DA “IL CORRIERE DELLA SERA”

COP21: Modesta partenza

L’accordo sul clima siglato nel Dicembre 2015 da 195 paesi, prevede il mantenimento della soglia di riscaldamento globale al di sotto dei 2 gradi (possibilmente 1,5) rispetto all’era preindustriale entro il 2100. Tuttavia risulta una partenza modesta, in quanto esso non è vincolante e si basa su piani nazionali volontari di riduzione delle emissioni di gas serra; l’accordo punta ad una “neutralità delle emissioni” nella seconda metà del secolo (bilancio tra residue emissioni antropiche e il loro assorbimento nel suolo e foreste o il loro “sequestro” tramite tecnologie, mezzi tuttavia di dubbia efficacia). La verifica degli impegni presi avverrà ogni 5 anni a partire dal 2023 e gli impegni dei paesi sono commisurati alle singole capacità economiche e tecnologiche oltre che alle singole responsabilità nelle emissioni dei gas serra. Inoltre i paesi più sviluppati aiuteranno i paesi emergenti a fronteggiare l’adattamento ai cambiamenti climatici attraverso un fondo di 100 miliardi di dollari da sbloccare nel 2020, anno in cui l’accordo diverrà operativo a condizione che 55 paesi responsabili complessivamente del 55 % delle emissioni globali lo ratifichino. L’accordo è certamente di portata storica in quanto è il primo ad essere universale (Kyoto non includeva i paesi emergenti) e dunque vi è un riconoscimento a livello globale del problema, ma non risulta ancora sufficiente a metterci al sicuro da catastrofi naturali e destabilizzazione degli ecosistemi terrestri. L’incremento termico realisticamente prevedibile è di 2,7 gradi entro il 2100, quindi molto di più dei 2 gradi previsti, e ciò porterà alla scomparsa della banchisa artica e parte delle calotte di Antartide e Groenlandia, dunque innalzamento dei mari e caldo estremo che porterà malattie tropicali, crisi sanitarie, migrazioni ed eventi atmosferici estremi.

 

L’effettiva applicazione dell’accordo resta dubbia quindi per molti scienziati come James Hansen, ex Nasa e attivista, il quale sostiene che l’unico modo per tagliare le emissioni è l’imposizione di una tassa sulla produzione di gas climalteranti. Senza dubbio l’accordo è un passo avanti, ma necessiterà di ulteriori rafforzamenti e impegni, nel frattempo dovremmo cercare il più possibile come società di fare scelte consapevoli nella vita di tutti i giorni ed elaborare strategie di adattamento.

A cura di M.B.

DA BLOG “NIMBUS”

Dalla lentezza all’azione

In un’intervista a seguito dell’accordo di Parigi, Luca Mercalli, scienziato meteorologo, sottolinea quanto sia importante a livello simbolico e politico l’intesa epocale tra 195 governi sul cambiamento climatico e quanto rappresenti un passo in avanti rispetto a Kyoto (non siglato dai paesi emergenti e comunque ampiamente disatteso) e a Rio de Janeiro 1992 (un meeting caratterizzato secondo Mercalli dalla lentezza), eppure sottolinea anche quanto sia ancora un accordo inadatto ad affrontare l’enorme sfida che ci pone il clima. Gli impegni presi costituiscono ancora una modesta acquisizione nonostante tutto, in quanto le proposte di riduzione delle emissioni messe sul piatto dai vari paesi non sono ancora sufficienti e sommate insieme non raggiungerebbero l’obiettivo di contenere il riscaldamento entro i due gradi, bensì entro i tre. Volendo anche agire seriamente e immediatamente, servirebbero anni di lavoro, miliardi di pannelli solari, auto elettriche, turbine eoliche, tassazioni delle emissioni e tanta educazione ambientale per costruire un percorso di sostenibilità ambientale e non tutti i paesi hanno le risorse o sono disposti a fare questo sforzo.

Mercalli immagina l’umanità che viaggia su un aereo che sta per cadere, dove, invece di trovare tutti insieme un modo di atterrare, si perde tempo prezioso a litigare tra chi ha volato in prima classe e chi è rimasto nella stiva, e con ciò fa chiaramente riferimento rispettivamente ai paesi sviluppati che si sono arricchiti a danno dell’ambiente e ai paesi emergenti che a loro volta vogliono inquinare a piacimento per non essere da meno. La realtà che i passeggeri hanno perso di vista è che la priorità è non schiantarsi al suolo, o almeno prendere quelle misure per non farsi troppo male nell’atterraggio.

A cura di M.B.

DA RSI RADIO TELEVISIONE SVIZZERA

L’innalzamento delle acque dei mari e conseguenze in Italia

La cartina geografica dell’Italia potrebbe cambiare in modo radicale nel giro di un secolo se non si corre ai ripari presto: infatti, col cambiamento climatico in corso e l’innalzamento del livello dei mari, una parte importante dell’Italia costiera sparirà sotto le acque. Il fenomeno riguarderebbe ad esempio l’area costiera tra Trieste e Ravenna e verso l’interno fino a Treviso, che verrebbe sommersa per la bellezza di 5500 km² e il mare si spingerebbe fino a 60 km verso l’interno rispetto ad oggi. Si tratterebbe solo di un esempio tra i tanti purtroppo, in quanto il centro studi ENEA ha stimato che ben 33 aree costiere in tutta Italia potrebbero essere sommerse, da Venezia alla Versilia, dalla foce del Tevere fino a Volturno e la piana di Catania in Sicilia. L’innalzamento delle acque non sarà tuttavia l’unico sconvolgimento per la nostra penisola perché una parte importante la giocherà anche l’inaridimento del suolo e un clima tanto arido e secco da far diventare il Belpaese come il Nord Africa, esposto ad alluvioni invernali e periodi prolungati di siccità, calore e scarsità d’acqua, mentre Nord Europa e Balcani tenderanno a “mediterraneizzarsi”.

A cura di M.B.

DA “LA STAMPA”

Rapporto ONU sul clima

Secondo un nuovo rapporto delle Nazioni Unite, gli Stati, solo a patto che rispettino gli impegni presi alla Conferenza sul cambiamento climatico di Copenhagen, potranno ridurre le proprie emissioni di almeno il 60 %. Il rapporto coordinato dal Programma ONU per l’Ambiente evidenzia il divario esistente tra i risultati che dovrebbero essere ottenuti entro il 2020 e quanto ci si può realmente aspettare entro quella data. L’Accordo di Copenhagen riflette l’impegno assunto dai paesi entro il 2020, tuttavia a quanto pare non si riuscirebbe comunque a rispettare il limite di due gradi stabilito per il riscaldamento atmosferico. L’IPCC ha infatti evidenziato che occorrerebbe passare dalla riduzione delle emissioni del 25 al 40 % rispetto al 1990 entro il 2020 (tradotto in max.44 giga tonnellate di CO) e dimezzarle entro il 2050. L’Accordo di Copenhagen invece, secondo il rapporto, ridurrebbe potenzialmente solo fino a 49 giga tonnellate di CO, rendendo il livello di ambizione degli Stati ancora inadeguato.

A cura di M.B.

DAL SITO DEL CENTRO REGIONALE DI INFORMAZIONI DELLE NAZIONI UNITE