Profughi e sfollati del clima

Guerre e povertà non sono gli unici fattori a spingere i popoli ad emigrare: secondo uno studio dell’Alto Commissariato Onu per i rifugiati, il numero di profughi per cause ambientali/climatiche sta crescendo a dismisura, e potrebbe raggiungere fino a 200 milioni entro il 2050.

Il cambiamento del clima colpisce e colpirà sempre più duramente i paesi sottosviluppati, in quanto esso renderà queste zone ancora più inospitali e povere a causa della desertificazione e dell’aumento del livello degli oceani. Le emigrazioni per motivi ambientali, a partire dagli anni ’90, sono già una realtà quantificabile in 27 milioni di persone sfollate, di cui l’80 % provenienti dai paesi più poveri.

Gli eventi meteorologici estremi e i disastri naturali sono più che triplicati negli ultimi 30 anni e non si tratta di eventi sporadici ma di un progressivo deteriorarsi delle condizioni ambientali che porterà ad una graduale e massiccia emigrazione.

A cura di M.B.

DA “LA REPUBBLICA”

La visita di Obama all’Exit Glacier

Il presidente americano Barack Obama, durante una visita di tre giorni in Alaska, si è recato a fare trekking verso il Portage Glacier, per lanciare un messaggio a favore di interventi urgenti contro il riscaldamento del pianeta. In questa zona artica, le temperature alte registrate negli ultimi anni sono la causa dello scioglimento dei ghiacciai, che si ritirano sempre più rapidamente; i ghiacciai Exit Glacier e Portage Glacier sono mete turistiche delle grandi navi da crociera e ormai sono quasi invisibili e il Visitor Center multimilionario costruito trent’anni fa per ammirarli rischia di svuotarsi perché le future generazioni non avranno più nulla da vedere lì.

A cura di M.B.

DA “LA REPUBBLICA”

Videoscienza e scuole

L’articolo parte dall’incontro del prof. Valter Maggi, docente alla Bicocca di Milano, presso il liceo Ettore Majorana di Rho, nell’ambito dell’evento “Scienza, scuola e società” realizzato da Videoscienza e l’Ufficio scolastico regionale della Lombardia. Il protagonista dell’incontro è il cambiamento climatico, del quale vengono spiegate le caratteristiche e dati salienti come l’aumento di 1° C della temperatura media del nostro pianeta dall’inizio del secolo scorso e l’incremento di emissioni di CO da 320 a 390 parti per milione. Non solo è in atto un surriscaldamento planetario, già per altro coinciso in passato con l’aumento di gas serra nell’ambiente, cosa verificata attraverso lo strumento del carotaggio nei ghiacciai, è in atto un cambiamento accelerato dalle attività dell’uomo che hanno aumentato sensibilmente l’emissione dei gas serra. Lo stesso prof. Maggi che ha personalmente partecipato ai carotaggi in Antartide, conferma questa correlazione. Le conseguenze sono già in atto: scioglimento dei ghiacciai e innalzamento del livello del mare. Le previsioni infine: 12° C in più entro il 2090 nelle zone polari.

A cura di M.B.

DA SITO “VIDEOSCIENZA

Il cambiamento climatico e la guerra civile in Siria

Aggravati dal riscaldamento climatico, la siccità e l’impoverimento delle risorse idriche che stanno colpendo molte regioni della Terra possono spingere paesi già attraversati da tensioni sociali oltre la soglia che separa quei contrasti dal conflitto armato: come è accaduto in Siria, secondo uno studio appena pubblicato.

“Tra i fattori che hanno contribuito alla guerra in Siria ce n’è uno devastante ma largamente ignorato: il cambiamento del clima”. Shahrzad Mohtadi, giovane studiosa di scienze politiche alla Columbia University di New York, lo sosteneva sul “Bulletin of the Atomic Scientist” già nel 2012. Ora la sua idea trova conferma in uno studio guidato da Colin Kelley, geografo dell’Università della California a Santa Barbara, e pubblicato sui “Proceedings of the National Academy of Sciences”.

Nel triennio precedente al conflitto, fra il 2007 e il 2010, la regione ha sofferto la siccità più intensa e protratta mai registrata da quando si hanno dati affidabili. Esaminando l’andamento storico, Kelley ha constatato che la siccità s’inquadra in una tendenza in atto: nel Mediterraneo orientale la pressione atmosferica sta crescendo, facendo calare la piovosità invernale (-13% dal 1931), mentre le temperature aumentano (oltre un grado in più nel 1900). Per i suoli è un doppio colpo: le minori precipitazioni invernali si sommano all’aumentata evaporazione estiva nel disseccarli. Ebbene, questa tendenza non trova spiegazioni apparenti in eventi naturali mentre coincide con quando previsto dai modelli climatici.

Il clima ovviamente è solo uno dei fattori che hanno fatto precipitare la situazione. Uno sfruttamento agricolo insostenibile delle acque sotterranee aveva depauperato le riserve che di norma tamponavano le emergenze. I raccolti crollati di un terzo, le morie di bestiame, la denutrizione infantile hanno costretto un milione e mezzo di persone ad abbandonare le campagne, sommandosi a oltre un milione di profughi iracheni nei sobborghi delle città, già sul punto di rottura in un paese passato in mezzo secolo da 4 milioni a 22 milioni di abitanti. Qui gli sfollati si sono trovati abbandonati a se stessi dal governo, che non ha fatto nulla per aiutarli. Non sorprende allora che allo scoppio delle primavere arabe, nel 2011, questi sobborghi siano stati i maggiori focolai delle rivolte.

“Questo è il primo studio quantitativo approfondito che segnala non un rischio futuro ma un conflitto attuale legato al cambiamento del clima, ha dichiarato un altro autore, Richard Seager della Columbia University.

Dobbiamo ringraziare Le Scienze di questa informazione scientifica che conferma il carattere processuale con cui dobbiamo leggere questi grandi eventi che ci sovrastano. (Le Scienze. Aprile 2015)