L’acqua sta per finire in Sudafrica

Dobbiamo a Marco Tedesco, uno scienziato italiano, richiami seri e significativi sul riscaldamento climatico, come quello apparso su La Repubblica del 14 febbraio, sul drammatico rischio di esaurimento delle risorse idriche del Sudafrica. Sulla base delle informazioni fornite da Landsat-8 (l’ultimo di una lunga serie di satelliti lanciati per monitorare lo stato del nostro Pianeta) risulta che circa quattro milioni di cittadini di Città del Capo rischiano di rimanere senza acqua. Si prevede così che il giorno in cui tali residue risorse saranno riservate solo a “ospedali e  strutture di base”, è ormai vicino: “secondo gli esperti, non più tardi di metà di maggio. Infatti la riserva più grande della città, secondo i dati dei satelliti, si è ridotta a un quarto negli ultimi tre anni a causa della riduzione delle piogge in questo stesso periodo. Le conseguenze del razionamento saranno ad ogni livello, in particolare a livello sanitario quando possono verificarsi, specie nel periodo febbraio-maggio, esplosioni “ di germi e malattie ad esse associate che portano a casi di colera, epatite A e tifo legati alle condizioni igieniche”. Tedesco, nel rappresentare tale situazione che testimonia come i processi del surriscaldamento climatico non sono un’opinione ma una terribile realtà, non manca di richiamare l’urgenza conseguente del problema  dei rifugiati climatici e delle vittime dei disastri ambientali, che ancora non vengono riconosciuti, fra coloro che sono costretti ad abbandonate la propria terra.

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di D.C.

Il mercurio sotto i ghiacci dell’Artico

Un contenuto millenario di mercurio pari a 50 vasche olimpioniche: è questo che si nasconde, secondo gli scienziati dell’Università del Colorado, sotto il permafrost dell’emisfero settentrionale.

Se attraverso il riscaldamento globale e l’inquinamento si dovesse sciogliere il permafrost fino in profondità, il mercurio verrebbe rilasciato nell’atmosfera e nell’acqua, fino a contaminare la flora e la fauna e risalendo la catena alimentare colpirebbe la salute dell’uomo. Ci sono circa 57 milioni di litri di mercurio pronti a tornare in circolazione, pari a 10 volte il mercurio emesso dall’uomo negli ultimi 30 anni. Il rilascio del mercurio, agli attuali ritmi di riscaldamento globale, potrebbe avvenire entro fine secolo, quando si prevede che il permafrost sarà sciolto per il 30-99%. Il mercurio è altamente dannoso sia per gli animali che per gli esseri umani, in quanto genera malformazioni e danni ai feti, e non di rado è stato rintracciato in carcasse di orsi e narvali.

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di M.B.

Gli indigeni del lago Poopo in Bolivia costretti ad emigrare

Il lago Poopo in Bolivia, ormai da alcuni anni completamente all’asciutto, era il punto di riferimento della comunità degli Uru-Murato, i quali hanno visto il loro lago prosciugarsi a causa di inquinamento, siccità e a causa delle attività delle limitrofe miniere. Oggi gli indigeni fanno molta fatica a praticare le loro tradizionali attività agricole, hanno cercato di convertirsi alla coltivazione della quinoa, ma con scarso successo. Sta iniziando una vera e propria migrazione di massa verso le città, che oltre a provocare sofferenze in chi è coinvolto direttamente in questa catastrofe, causerà una perdita incommensurabile di conoscenze e tradizioni una volta che gli indigeni spariranno nelle grandi città globalizzate.

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di M.B.

Mekong: il fiume conteso tra Cina e Sudest asiatico

Il fiume Mekong, le cui piene una volta giungevano naturalmente con l’alternarsi delle stagioni, un fiume pescoso, ora è flagellato dalla siccità e l’inquinamento, sfruttato al massimo attraverso la costruzione di numerose dighe che hanno creato danni all’agricoltura e bloccato le migrazioni dei pesci. I pescatori cambogiani ormai si sono trasferiti in città per lavorare come operai nel settore delle costruzioni, poiché il lavoro che svolgevano i loro antenati da tempo immemore non è più redditizio. Il Mekong è sempre stato conteso per lo sfruttamento idrico, sfondo di guerre e massacri, una storia vissuta per la maggior parte del tempo all’oscuro dell’Occidente, un territorio inaccessibile per buona parte del ‘900 a causa del regime comunista. Il Mekong attraversa Cina, Laos, Thailandia, Cambogia e Vietnam e la sua biodiversità, specie per quanto riguarda i pesci, è superiore anche al Rio delle Amazzoni. Il Mekong lambisce un territorio in cui vivono di pesca e cerealicoltura da millenni mezzo miliardo di persone. Nel 1995 nasce la Mekong River Commission, un forum intergovernativo (il cui parere non è però vincolante) composto da Thailandia, Cambogia, Laos e Vietnam, che ha il compito di discutere la gestione delle acque e lo sviluppo sostenibile. Cina e Birmania agiscono solo formalmente da interlocutori esterni. Da allora è stato un fiorire di forum e organizzazioni per gestire le acque del fiume, ormai diventate strumento di geopolitica. La Cina però è il maggiore finanziatore dei progetti, dunque le discussioni sui progetti avvengono di fatto bilateralmente tra la Cina e la regione o la città interessata dai lavori; la retorica cinese non manca mai di sottolineare l’aspetto di condivisione di queste infrastrutture, nonostante si rifiuti sistematicamente di consultarsi con i paesi non direttamente interessati dal singolo progetto. La gestione delle acque dunque è di fatto in mano alla Repubblica Popolare e gli ambientalisti non ci stanno: il livello del fiume si è abbassato a causa delle dighe fatte costruire dai cinesi, i quali non hanno ascoltato la richiesta fatta dalla Mekong River Commission di valutarne l’impatto ambientale. Le attività tradizionali come la pesca hanno subito un brusco calo e il Laos e il Vietnam saranno i paesi che, essendo più poveri e sottosviluppati, pagheranno il prezzo più alto: fungeranno da “pile” per l’energia idroelettrica del sudest asiatico attraverso la costruzione delle centrali idroelettriche sugli affluenti del Mekong, ma l’energia sarà venduta a Thailandia e Cambogia. C’è da scommettere che la popolazione dei paesi più poveri non trarrà alcun vantaggio dalla situazione, solo la distruzione degli habitat e la scomparsa dei loro mezzi di sussistenza millenari.

DA “LA STAMPA”

A cura di M.B.