La coltivazione di soia in Brasile

Nel 2019 il Brasile si avvia ad essere il maggiore produttore di soia dopo gli Stati Uniti, con un raccolto attorno ai 117 milioni di tonnellate. La soia viene esportata principalmente verso Europa e Cina, dove viene utilizzata spesso come mangime proteico per allevamenti. Tuttavia secondo il WWF, l’espansione della superficie per la coltivazione della soia nella regione a ricca biodiversità del Cerrado, sarà deleteria: ci vive il 5% del totale delle specie animali e vegetali presenti sulla terra, ma solo il 3% della sua superficie è area protetta. Sono già avvenute importanti deforestazioni a causa delle coltivazioni di soia (solo quest’anno circa 6657 km quadrati). Per non parlare dei danni che arrecherà l’espansione incontrollata dell’agricoltura industriale ai tre bacini idrici dei fiumi principali del paese. Negli ultimi anni ci sono stati fenomeni di siccità e depauperamento delle risorse che vengono usate per irrigare i campi, mentre i villaggi circostanti non hanno da bere e la portata dei fiumi diminuisce. Inoltre la popolazione del Cerrado sta subendo il cosiddetto “land grabbing”, terreni da cui la gente comune viene sfrattata per far posto alle coltivazioni, che portano contaminazione del suolo e delle acque attraverso l’uso dei pesticidi chimici, oltre a prosciugare le risorse di intere comunità che non sanno più di che vivere. Tutto dipende ora dal nuovo governo Bolsonaro, ma alcuni esponenti delle Ong locali che si occupano del Cerrado preferiscono rimanere anonimi, in quanto la questione ambientale in questa nazione è estremamente scottante e gli ambientalisti sono frequentemente oggetto di violenza.

DA “IL CORRIERE DELLA SERA”

A cura di M.B.

Il tasso di deforestazione stabile da 17 anni

Uno studio che verrà diffuso dalla Global Forest Watch e Science Magazine ha appurato come nonostante gli sforzi delle associazioni ambientaliste e i proclami dei governi del mondo, il tasso di deforestazione dal 2001 non sia per nulla cambiato, soprattutto a causa dei commerci. I dati raccolti tengono in conto le zone colpite, le cause e la situazione delle aree dove si è verificata una deforestazione permanente; la buona notizia è che anche alcune di queste ultime, secondo gli scienziati, avrebbero una speranza di “rifiorire” come habitat di vegetali e animali. Gli obiettivi della “deforestation-zero” entro il 2020 sono decisamente lontani, specialmente a causa della deforestazione legata al commercio, sia in Amazzonia che in Africa (per il cacao, la soia e la carta ad esempio). Questo sfruttamento intensivo spesso è fonte di “alterazione permanente del paesaggio”, ed avviene anche con le attività di estrazione mineraria. Il disboscamento dovuto a incendi sarebbe invece meno grave in quanto vi sarebbe una speranza di recuperare l’area danneggiata. Selvicoltura, incendi e urbanizzazione sono fattori decisamente secondari rispetto alla deforestazione legata alle materie prime (5 milioni di ettari l’anno da 15 anni). Mentre negli anni ’90 e 2000 il disboscamento nell’Amazzonia brasiliana era di 20.000 ettari l’anno, dal 2005 è calato del 70% per poi rimanere sostanzialmente stabile; un chiaro indice di fallimento delle politiche ambientali e degli obiettivi stabiliti dalla comunità internazionale in materia.

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di M.B.

I parassiti dei raccolti

Uno studio dell’Università di Washington ha evidenziato la voracità e il gran numero in costante aumento dei parassiti delle coltivazioni di cereali come riso, mais e grano nelle zone temperate del pianeta. E’ una condizione che si aggrava con l’aumento delle temperature, come è dimostrato dallo studio: per ogni grado in più si perderà dal 10 al 25% del raccolto a causa di insetti e parassiti, specialmente in USA, Francia e Cina. 213 milioni di tonnellate di cereali saranno perduti con l’aumento di due gradi: il 46% del grano, il 31% del mais e il 19% del riso. Gli insetti vedono aumentare il loro metabolismo e il loro tasso di riproduzione col caldo, dunque sarebbe opportuno affrontare il problema pesticidi prima possibile per affrontare anche questo lato dell’emergenza clima.

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di M.B.

L’anidride carbonica e il cibo

L’inquinamento da anidride carbonica, come indicano studi americani pubblicati su Nature Climate Change rischia in futuro di impoverire sempre di più i raccolti in termini nutrizionali, con inevitabile impatto negativo sulla salute umana. Si prevede che entro il 2050, 175 milioni di persone in più soffriranno di carenza di zinco e 122 milioni di carenza di proteine. Il NOAA ha calcolato nel 2017 405 parti per milione di CO2 nell’atmosfera, ovvero livelli raggiunti 800.000 anni fa. Se non invertiamo presto questa tendenza, potremo ritrovarci nel 2100 con 800 parti per milione di CO2 nell’atmosfera e un aumento catastrofico di 4 gradi centigradi. I livelli, se si mantiene lo status quo, saranno fra 30-50 anni di 550 parti per milione e ciò significa una riduzione dal 3 al 17% del contenuto di proteine, zinco e ferro in 225 alimenti consumati oggi in 151 paesi del mondo (tenendo conto di disposizione demografica e di disponibilità alimentare dei paesi stessi). Si calcola anche un aumento dell’anemia del 4%. Chiaramente i primi a farne le spese saranno i paesi in cui già imperversa la malnutrizione, ovvero l’Africa subsahariana e il Sudest asiatico.

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di M.B.

La verde Inghilterra diventa gialla

Gli agricoltori del Sussex ormai chiamano le loro terre la “Sussex savannah”: effettivamente i tradizionali e ben conosciuti prati verdi inglesi si sono inariditi quest’estate, con una calura e siccità che fanno registrare un record negativo dal 1961. Questa settimana in Gran Bretagna si toccheranno i 35 gradi e non si vede pioggia da ben due mesi (!), cosa che fa dell’estate 2018 la più arida dalla seconda metà del 1700. L’allarme diramato è arancione, ovvero quasi di emergenza nazionale: gli abitanti sono stati invitati a stare il più possibile in casa e nascondere gli oggetti in vetro dalla luce solare per evitare incendi. Le foto satellitari riportano la situazione di drammatica siccità delle campagne: dove a nord della Manica si era abituati a vedere una macchia verde, se ne estende una gialla. Gli agricoltori e gli allevatori sono disperati per la carenza delle risorse idriche, tanto che si è arrivati al punto di bandire l’uso delle pompe da giardino. Alcuni stagni dell’Inghilterra centrale sono rimasti all’asciutto, mentre parti di fiumi non sono più navigabili a causa della siccità. I meteorologi prevedono che la situazione continuerà, con temperature di dieci gradi sopra la media stagionale. Gli unici ad esultare sono gli archeologi: con la siccità siti preistorici e rovine romane stanno affiorando per assenza di vegetazione e sono nettamente più visibili dai satelliti.

DA “IL CORRIERE DELLA SERA”

A cura di M.B.