FAO: forse è giunta la fine della “rivoluzione verde”

Il direttore della FAO, Josè Graziano de Silva, ha pronunciato davanti a 700 delegati di 72 paesi, 350 agenzie non governative e 6 agenzie ONU la seguente frase: “Il modello della rivoluzione verde, attuato dopo il secondo dopoguerra, è esaurito”.

Il vento sta portando l’agricoltura del futuro lontana dall’agroindustria e dalla chimica; l’agricoltura non sostenibile è ormai nel mirino, e non manca molto perché suoni la sua ultima ora. Le prove del fallimento sono sotto gli occhi di tutti: se nel dopoguerra la quantità di cibo pro capite è aumentata del 40% grazie alla cosiddetta rivoluzione verde, oggi si contano 815 milioni di persone al mondo che soffrono la fame, mentre il cibo che mangiamo diventa sempre più povero di nutrienti e l’acqua che beviamo e usiamo nelle aziende, sempre più inquinata. Il summit di Roma della FAO ha messo in luce l’importanza di una virata decisa verso l’agroecologia, che permette il recupero di coltivazioni di specie messe da parte a favore di altre, ma che racchiudono pari o superiore valore nutritivo, che dunque permette di variare la nostra dieta, sempre più monotona, salvando la biodiversità del pianeta. Sicurezza alimentare e resilienza al cambiamento climatico sono parole chiave, per rafforzare la sussistenza e le economie locali, portando lavoro, autosufficienza, preservando e arricchendo la cultura tradizionale in fatto di cibo. Piccoli agricoltori e consumatori saranno i protagonisti del cambiamento; per quanto riguarda questi ultimi, il trend del biologico si rafforza di anno in anno, ma per ora il nodo resta quello dei prezzi. Infatti per portare avanti un’agricoltura pulita bisogna investire molto denaro e conseguentemente i prezzi sono molto più alti rispetto a quelli dell’agricoltura chimica.

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di M.B.

Siccità: a rischio coltivazioni pomodori al Sud

La zona della Capitanata, in provincia di Foggia, è particolarmente importante per l’agricoltura italiana, in quanto da qui arriva la quasi totalità di pomodori pelati venduti in Italia e il 30% dei pomodori da industria. L’indotto della filiera della produzione del pomodoro ammonta a circa un miliardo di euro, e se la stagione si rivelasse poco produttiva, come sembra a causa di un inverno troppo secco, le ricadute sull’occupazione e sul raccolto sarebbero drammatiche. La carenza di acqua fa sì che gli agricoltori che decidono di mettere in serra centinaia di migliaia di piante, facciano una scommessa davvero azzardata. La diga di Occhito sul Fortore tra Puglia e Molise, contiene meno della metà dell’acqua che conteneva nello stesso periodo dell’anno scorso, e se le cose non dovessero cambiare a breve, i produttori che contano sull’acqua della diga per irrigare, avranno un mancato reddito e in più non sono previste compensazioni. D’altro canto, coloro che possono contare sui pozzi venderanno ad un prezzo maggiore. Tuttavia la situazione per i consumatori, anche in vista di un calo della produzione del 30/35% (secondo l’imprenditore Franco Franzese, CEO di Fiammante, industria del salernitano), non cambierebbe, in quanto i prezzi non aumenterebbero e vi è un vasto lotto di merce invenduta nei magazzini dei conservifici, in quanto l’anno scorso si è verificato un grande aumento della produzione, specie nel nord.

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di M.B.

Mais OGM: nessun rischio per la salute secondo uno studio italiano

La Scuola Superiore Sant’Anna e l’Università di Pisa hanno collaborato nel mettere a punto una ricerca sulle colture di mais OGM in tutti i continenti del mondo dal 1996 ad oggi, e il risultato, pubblicato su Scientific Reports, sostiene che non vi sia alcun rischio per la salute umana. Il mais OGM sarebbe invece molto resistente ad attacchi di insetti e altre sostanze contaminanti, ed avrebbe una resa migliore di quello tradizionale. Eppure dalle analisi della Coldiretti emerge che gli italiani (in buona compagnia della maggior parte degli europei), sono contrari alle coltivazioni OGM e la quasi totalità della popolazione non mangerebbe mai carne o latticini OGM. Alcuni agricoltori e imprenditori si sono battuti per poter seminare mais OGM (nonostante dal 2015 lo Stato italiano abbia impedito la semina OGM che a livello UE è invece permessa) tra cui Giorgio Fidenato, al quale la Corte Europea ha dato ragione nel contenzioso con lo Stato italiano, in quanto quest’ultimo non poteva impedire la semina di mais OGM se non per comprovati fattori di rischio per la salute umana. I nuovi studi sembrano confermare che non vi siano rischi, eppure Greenpeace commenta i risultati della ricerca tiepidamente: le colture OGM potrebbero comunque essere un danno per la biodiversità ed il made in Italy, perciò sarebbe meglio concentrarsi sulla selezione di specie resilienti dal punto di vista climatico che sugli OGM nell’agricoltura del futuro.

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di M.B.

Mandorleti in fiore a gennaio

I famosi giorni della merla, quelli che secondo la leggenda sono i più freddi dell’anno, verso fine gennaio, si sono rivelati più caldi e secchi della media. Le precipitazioni sono pressoché inesistenti, mentre si vedono già i primi germogli nei campi (e qualche fiore): è un vero e proprio sconvolgimento della natura, che rischia di mettere a repentaglio, con improvvise gelate, il raccolto dei mesi estivi. Il tempo risulta quanto mai altalenante tra bombe d’acqua e siccità, gelate e temperature sopra la media, e le piogge sono ai minimi da un centinaio di anni, con effetti devastanti non solo sull’agricoltura, che ha perso negli ultimi anni ben 14 miliardi.

DA www.coldiretti.it

A cura di M.B.

Mekong: il fiume conteso tra Cina e Sudest asiatico

Il fiume Mekong, le cui piene una volta giungevano naturalmente con l’alternarsi delle stagioni, un fiume pescoso, ora è flagellato dalla siccità e l’inquinamento, sfruttato al massimo attraverso la costruzione di numerose dighe che hanno creato danni all’agricoltura e bloccato le migrazioni dei pesci. I pescatori cambogiani ormai si sono trasferiti in città per lavorare come operai nel settore delle costruzioni, poiché il lavoro che svolgevano i loro antenati da tempo immemore non è più redditizio. Il Mekong è sempre stato conteso per lo sfruttamento idrico, sfondo di guerre e massacri, una storia vissuta per la maggior parte del tempo all’oscuro dell’Occidente, un territorio inaccessibile per buona parte del ‘900 a causa del regime comunista. Il Mekong attraversa Cina, Laos, Thailandia, Cambogia e Vietnam e la sua biodiversità, specie per quanto riguarda i pesci, è superiore anche al Rio delle Amazzoni. Il Mekong lambisce un territorio in cui vivono di pesca e cerealicoltura da millenni mezzo miliardo di persone. Nel 1995 nasce la Mekong River Commission, un forum intergovernativo (il cui parere non è però vincolante) composto da Thailandia, Cambogia, Laos e Vietnam, che ha il compito di discutere la gestione delle acque e lo sviluppo sostenibile. Cina e Birmania agiscono solo formalmente da interlocutori esterni. Da allora è stato un fiorire di forum e organizzazioni per gestire le acque del fiume, ormai diventate strumento di geopolitica. La Cina però è il maggiore finanziatore dei progetti, dunque le discussioni sui progetti avvengono di fatto bilateralmente tra la Cina e la regione o la città interessata dai lavori; la retorica cinese non manca mai di sottolineare l’aspetto di condivisione di queste infrastrutture, nonostante si rifiuti sistematicamente di consultarsi con i paesi non direttamente interessati dal singolo progetto. La gestione delle acque dunque è di fatto in mano alla Repubblica Popolare e gli ambientalisti non ci stanno: il livello del fiume si è abbassato a causa delle dighe fatte costruire dai cinesi, i quali non hanno ascoltato la richiesta fatta dalla Mekong River Commission di valutarne l’impatto ambientale. Le attività tradizionali come la pesca hanno subito un brusco calo e il Laos e il Vietnam saranno i paesi che, essendo più poveri e sottosviluppati, pagheranno il prezzo più alto: fungeranno da “pile” per l’energia idroelettrica del sudest asiatico attraverso la costruzione delle centrali idroelettriche sugli affluenti del Mekong, ma l’energia sarà venduta a Thailandia e Cambogia. C’è da scommettere che la popolazione dei paesi più poveri non trarrà alcun vantaggio dalla situazione, solo la distruzione degli habitat e la scomparsa dei loro mezzi di sussistenza millenari.

DA “LA STAMPA”

A cura di M.B.