Nei villaggi della Cina si riscopre il cibo sano

Il settimo Congresso Internazionale di Slow Food si tiene in questi giorni in Cina, a Chengdu, nella provincia del Sichuan, che nonostante la dirompente crescita economica non ha mai messo da parte i solidi saperi e le tradizioni culinarie. Il Sichuan non è stata una scelta casuale per gli organizzatori del Congresso: il clima eccellente, la varietà di prodotti e la ricca biodiversità sono il fiore all’occhiello di questa regione cinese. La Cina ora più che mai si interroga sulla grande sfida del futuro sul cibo: come potrà sfamare un quinto della popolazione mondiale con solo 7% di terre coltivabili? La risposta sta nel ritornare alle conoscenze delle comunità rurali e alla tradizione culinaria millenaria che i piccoli villaggi di contadini tramandano di padre in figlio. Finora Pechino ha preferito investire in allevamenti intensivi, uso di pesticidi e fertilizzanti, nocivi per la biodiversità e per l’uomo. La ricostruzione ecologica e sociale delle aree rurali è la strada alternativa indicata dai contadini appoggiati dagli attivisti di Slow Food, ma il governo cinese dovrà agire in modo incisivo: purtroppo ad oggi le falde acquifere cinesi sono in gran parte inquinate da metalli pesanti, la gente subisce espropri delle terre a causa della speculazione edilizia per la costruzione di edifici industriali e complessi abitativi e, non ultimo, il cambiamento climatico ha portato siccità e carestia. Così le zone rurali si sono letteralmente svuotate a favore delle megalopoli, che insieme contengono metà della popolazione cinese. Il progetto di Slow Food, il movimento di Carlo Petrini, è quello di rilanciare i villaggi rurali cinesi attraverso il cibo sano, pulito e le coltivazioni sostenibili: un bel progetto che tuttavia rischia di non attirare i giovani cinesi, per i quali la campagna è ancora sinonimo di privazioni e miseria.

DA “LA STAMPA”

A cura di M.B.

L’estinzione di massa minaccia il nostro cibo

La sesta estinzione di massa innescata dal cambiamento climatico non solo rischia di far sparire la fauna selvatica che associamo alla bellezza della natura, i grandi mammiferi (metà della fauna selvatica è sparita negli ultimi 40 anni), ma anche le specie direttamente collegate alla nostra sopravvivenza. Biodiversity International attraverso uno studio evidenzia come solo le colture di riso, grano e mais costituiscano più del 50 % del nostro nutrimento vegetale e che in generale il 75 % di ciò che mangiamo dipende solamente da 12 colture e cinque specie animali. E’ chiaro che abbiamo puntato su così poche specie non tanto perché sono più buone o nutrienti di altre, ma perché si adattano meglio di altre al sistema industriale e la sua filiera. Gli allevamenti intensivi hanno un prezzo molto alto: l’agricoltura contribuisce per il 24 % all’effetto serra ed è la più grande filiera consumatrice di acqua dolce sul pianeta. Campi messi a coltivazione e pascoli coprono già il 38% delle terre emerse, lasciando il 62 % delle specie animali a rischio a causa dello stravolgimento del proprio habitat. Le previsioni ci dicono che forse la produzione agricola, a causa del cambiamento climatico, calerà del 2% mentre la domanda salirà del 14%. Per fare un esempio, negli anni ’70 in USA le coltivazioni di mais subirono un crollo nella produzione a causa di una malattia e il problema fu risolto solo grazie ad una varietà di mais selvatico messicano sopravvissuta. Inoltre il risvolto sanitario negativo della iper industrializzazione del cibo è il consumo di junk food, che fa aumentare sempre di più sovrappeso e obesi, mentre due miliardi di persone non hanno un consumo adeguato delle vitamine essenziali e sali minerali. Un Indice di agrobiodiversità, che è stato di recente proposto, potrebbe portare ad una programmazione adeguata delle risorse da impiegare per un nutrimento solido e duraturo delle persone sul pianeta: investimenti e interventi mirati implementerebbero le colture miste, più resistenti a malattie e parassiti rispetto alle monocolture, che ovviamente limitano la biodiversità.

Inoltre dal 1950 al 1999 uno studio sui nutrienti di 43 colture ha osservato una diminuzione della presenza di proteine, calcio, ferro e acido ascorbico. Insomma bisognerebbe evitare di coltivare e mangiare sempre le stesse specie di vegetali e graminacee, favorendo invece la crescita di varie specie in colture miste, le quali sono più resistenti, più sane e alla portata di tutti.

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di M.B.

Piantagioni illegali di cacao

L’organizzazione ambientalista “Mighty Earth” ha denunciato nel documento “Chocolate’s Dark Secret” la massiccia deforestazione di Ghana e Costa d’Avorio per far posto alle piantagioni di cacao per la produzione di cioccolato. Secondo il rapporto, una gran parte del cioccolato prodotto dalle grandi industrie di dolciumi come Mars e Nestlé, proviene da coltivazioni illegali di cacao, in luoghi che teoricamente dovrebbero essere protetti e preservati, come i parchi nazionali. Pare che in Costa d’Avorio sia rimasto solo 4 % di aree coperte da fitte foreste in tutto il territorio, e che in Ghana stia accadendo lo stesso scempio nell’indifferenza e/o connivenza delle autorità locali.

DA “LA STAMPA”

A cura di M.B.

Russia superpotenza agricola del futuro

L’economia russa si basa tradizionalmente sul petrolio e sul gas ed è esportatrice di armi, ma per il resto sono pochi i prodotti finiti che esporta; la situazione tuttavia potrebbe cambiare in un prossimo futuro. Col prezzo del greggio in calo negli ultimi anni assieme alla moneta nazionale, il rublo, la Russia volge il suo sguardo a una nuova ricchezza, favorita dall’andamento delle temperature: i cereali. Sorpassati gli USA e l’Europa con un’esportazione quest’anno di 27,8 milioni di tonnellate di frumento, è stato un vero e proprio boom della Russia, dato dal riscaldamento globale che spinge il limite delle terre coltivabili sempre più a nord. E’ stato calcolato che 140 milioni di acri di terra rimasti incolti in Russia (e in misura minore in Ucraina e Kazakistan) dopo la caduta dell’URSS potrebbero essere nuovamente messi a coltura. La popolazione mondiale sta aumentando, e i paesi in via di sviluppo hanno bisogno costante di rifornimenti a causa delle carestie (si pensi a paesi come la Nigeria, il Bangladesh) e della siccità, che mette in ginocchio le colture. I prezzi del frumento russo sono diventati estremamente competitivi a causa della svalutazione del rublo, tanto da mettere in seria difficoltà statunitensi ed europei, che per giustificare un prezzo più alto devono puntare sempre di più su grano particolare e di qualità. I rivali della Russia (USA e Australia oltre all’Europa) inoltre stanno facendo i conti loro stessi con la siccità dei campi. Forse il ministro russo dell’Agricoltura Tkaciov non è andato lontano dalla realtà quando ha detto che un giorno il frumento sostituirà gli idrocarburi nell’economia del paese, e perciò il Cremlino sta anche puntando molto su ricerca scientifica e nuove tecnologie in campo agricolo.

DA “LA STAMPA”

A cura di M.B.

La sorgente del Po sul Monviso a secco

Con la sorgente del Po sul Monviso (2.020 m di altitudine) a secco, la vasta area della Pianura Padana, abitata da 16 milioni di persone, subisce danni ingenti all’agricoltura e all’allevamento; oltre un terzo della produzione agricola va in fumo e così anche metà degli allevamenti. La Coldiretti lancia l’allarme in quanto sono in pericolo molti prodotti che costituiscono la base della dieta mediterranea come grano, pomodoro, frutta, formaggi e insaccati. Oltre alla catena di prodotti sono a rischio anche migliaia di posti di lavoro. Ovviamente responsabile è la calura anomala di quest’estate 2017 e soprattutto l’assenza di piogge, paragonabile solo all’estate 2003.

A cura di M.B.

DA “LA STAMPA”