In cinque secoli i grandi carnivori hanno perso fino al 90% del territorio di caccia

In 500 anni l’uomo, con l’agricoltura e i suoi insediamenti urbani, ha sottratto il territorio di caccia a grandi carnivori come tigri, leoni e lupi, tanto da minacciarne seriamente la sopravvivenza. Due ricercatori dell’università dell’Oregon hanno pubblicato una ricerca sulla Royal Society Open Science in cui si confronta l’areale dei grandi carnivori (di più di 15 kg) nel 1500 con l’areale odierno studiato dall’IUCN. Questo studio, incentrato sull’habitat, ha messo in luce come i grandi carnivori ormai abitino solo un terzo del territorio che occupavano secoli fa; la tigre ha addirittura perso il 95 % del suo territorio di caccia. In questo senso risultano più penalizzate le specie che abitano il sud-est asiatico (densamente popolato), mentre la zona artica e della tundra, essendo prevalentemente sgombra di insediamenti, è ancora un luogo di caccia ideale per le specie locali. Le specie prese in considerazione sono 25, di cui 15 (ovvero il 60%) hanno perso più di metà delle loro zone di caccia tradizionali. Nonostante il quadro scoraggiante, in alcune zone anche densamente abitate permane la presenza di queste specie: in India resistono i leopardi e le iene, mentre in Europa e Nord America le politiche di reintroduzione hanno fatto la differenza per i lupi, ad esempio. L’essere umano dovrà abituarsi di nuovo a condividere il territorio con gli animali, senza più distruggerlo mettendo a repentaglio la loro esistenza, bensì trovando nuove modalità di convivenza e implementando la presenza di aree protette e parchi.

A cura di M.B.

DA “LA REPUBBLICA”

Terra, sesta estinzione di massa: specie animali dimezzate

Uno studio effettuato da tre biologi della Stanford University e pubblicato sulla rivista scientifica Pnas, rivela che dal 1900 al 2015 le specie animali presenti sulla terra si siano dimezzate. Questo studio, volutamente improntato ad un risultato quantitativo, vuole illustrare fino a che punto si è spinto l’essere umano nel distruggere habitat naturali e dunque nel far estinguere specie animali. Uno spopolamento di questa portata avrà ricadute drammatiche sull’intero ecosistema planetario, per non parlare delle aree in cui la distruzione che ha portato l’uomo ha fatto sparire specie esistenti da tempo immemore. Tutto ciò che sta accadendo, per gli autori della ricerca, ha un nome ed è “defaunazione antropocentrica”, uno scempio che porta all’estinzione in media di due specie all’anno. Alcune di esse, come il pinguino imperatore dell’Antartide, dovranno adattarsi a migrare e cercare nuove zone per la caccia, altrimenti saranno estinte a fine secolo. Lo studio è stato condotto su un totale di 27,600 vertebrati e 177 mammiferi, ne è stata studiata la distribuzione geografica ed è risultato che persino le specie a basso rischio hanno subito un calo demografico. Il 30 % dei vertebrati è in declino e dei 177 mammiferi analizzati è risultato che ognuno di essi ha perso il 30 % delle loro aree di residenza (col 40 % dei mammiferi che ha abbandonato ben l’80 % delle proprie aree di residenza). L’orangutan, il leone africano e il ghepardo sono solo alcune delle specie più conosciute in pericolo, che in realtà sono tantissime. E’ necessario che i governi nazionali ed internazionali siano sensibili a questo tema e che prendano un’iniziativa forte volta alla protezione dell’ambiente e della biodiversità (specialmente nelle zone tropicali), perché il tempo sta scadendo e solo l’essere umano, che tanto ha distrutto e sfruttato, può ora porre rimedio, nel suo stesso interesse.

A cura di M.B.

DA “LA REPUBBLICA”

Salvate il pinguino imperatore: rischio estinzione entro 2100

La Woods Hole Oceanographic Institution, un ente privato di ricerca americano, sulla base di uno studio pubblicato su Biological Conservation, ha chiesto che il pinguino imperatore sia inserito nella lista delle specie a rischio estinzione dell’Iucn. Questa specie, che abita in 54 colonie dell’Antartide, è particolarmente minacciato dal riscaldamento globale che provoca lo scioglimento dei ghiacci, che lo costringerà a migrare per cercare un nuovo habitat di caccia e riproduzione. Analizzando dati storici e modelli di previsione climatica, i ricercatori hanno tracciato un’ipotesi di futuro drammatica per il pinguino imperatore: il 40 % delle colonie rischia di essere perso, e c’è il 42% di probabilità che le colonie si riducano del 90-99%, cosa che causerebbe l’estinzione della specie. Il punto di non ritorno nelle previsioni è il 2046, in quanto fino ad allora, i pinguini avranno effettuato le loro migrazioni, ma da quel punto in poi nulla li salverebbe, nemmeno la scelta accurata di un nuovo habitat. E’ stato difficile per i ricercatori studiare i pinguini data la situazione climatica estrema del loro habitat, condizione che ne garantisce per ora, ma non per molto, la sopravvivenza, a causa dello scioglimento dei ghiacci. I pinguini della terra di Adelia nell’Antartide sono stati osservati per molti anni e già nel 2001 era stato registrato un calo nella popolazione causato dallo scioglimento dei ghiacci, ed era già stato lanciato un appello nel 2012 per l’inserimento di questa specie tra quelle a rischio estinzione. La Woods hole oceanographic Institution chiede anche che venga al più presto protetta dal Endangered Species Act, il documento del governo degli Stati Uniti che garantisce la salvaguardia di 2.270 specie di animali e del loro habitat, sia all’interno che fuori dal territorio statunitense.

A cura di M.B.

DA “LA REPUBBLICA”

Giornata della biodiversità: Coldiretti, in Italia persi 3 frutti su 4

La biodiversità ha subito una grave perdita nell’ultimo secolo e Coldiretti stima che 3 varietà di frutta su 4 ormai siano introvabili in Italia; tuttavia il problema non riguarda solamente le varietà di vegetali e frutta ma anche gli animali. Non si tratta solo di conservare il valore naturalistico della biodiversità ma di difendere il made in Italy, di difendere la produzione di qualità del nostro paese, nota in tutto il mondo. In Italia nel secolo scorso erano presenti ben 8000 varietà di frutta, mentre oggi se ne contano solo 2000, di cui 1500 minacciate dalla distribuzione commerciale che favorisce grandi quantità e prodotti standardizzati. La buona notizia è che l’Italia negli ultimi anni è entrata a far parte dei paesi più virtuosi d’Europa per ciò che riguarda l’agricoltura green (conta 60.000 aziende agricole biologiche), la consapevolezza dei consumatori e la messa al bando degli Ogm e gli ormoni nella carne. Inoltre si contano 4965 prodotti tradizionali censiti in Italia tra Doc/Docg e Dop/Igp, i cui “custodi” sono contadini che si occupano di mantenere viva la produzione di queste prelibatezze locali e favorire la riscoperta di specie vegetali dimenticate come la pera cocomerina, le giuggiole e il corbezzolo. Va riconosciuto anche l’impegno degli allevatori, che hanno scongiurato l’estinzione di 130 specie animali, tra cui la gallina di Polverara, la capra Girgentana e l’asino romagnolo. Nell’occasione della 17esima Giornata mondiale per la biodiversità, è necessario ribadire con forza che la protezione della flora e della fauna a rischio non è più rimandabile e che già la biodiversità si è ridotta del 40 % tra il 1970 e il 2000. Varie regioni saranno coinvolte nell’organizzazione di eventi per far conoscere le specie vegetali locali, Legambiente darà appuntamento ad Ostia per parlare di spiagge fondali puliti, mentre il Muse a Trento si occuperà di far conoscere al pubblico le farfalle tropicali delle foreste pluviali.

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di M.B.

Allarme Lipu su specie selvatiche in Europa

In soli 10 anni la percentuale degli uccelli selvatici a rischio estinzione è balzata in avanti del 70 %: dalle 40 specie in pericolo tra il 1990-2000 alle 68 del decennio 2000-2010. L’informazione proviene dalla ricerca “Birds of Europe 3”, redatta dalla Ong animalista Birdlife International e presentata in Italia in questi giorni dalla Lipu. Sono state prese in considerazione 541 specie selvatiche in 50 paesi europei, avvalendosi dell’aiuto di ornitologi e appassionati. In Italia le specie minacciate sono ad esempio la berta minore (un volatile che nidifica presso le coste) e il nibbio reale, particolarmente diffuso in meridione. Il coturnice, la tortora selvatica, la pavoncella, il tordo sassello e il moriglione, nonostante siano inseriti nella lista delle specie a rischio, sono ancora considerati per legge cacciabili; la Lipu si è già mossa per richiedere alle autorità competenti l’eliminazione di queste specie dalla lista di quelle cacciabili.

DA “LA STAMPA”

A cura di M.B.