Mediterraneo: in un chilometro cubo centinaia di kg di plastica

Il titolo contiene un’affermazione forte, fatta da Marco Faimali, ricercatore Cnr, intervenendo a Lerici (La Spezia) a un convegno organizzato da Sea Shepherd sulla pericolosità delle micro e nanoplastiche nei mari e negli oceani. Ha inoltre aggiunto che la plastica non è un inquinante qualsiasi, perché in grado di assorbire altri inquinanti, fungere da vettore e dunque veicolare tossicità agli organismi che si cibano delle sue micro-particelle triturate. Gli effetti delle microplastiche specialmente sui più piccoli e fondamentali organismi marini come lo zooplancton sono ancora in corso di accertamento. Il nostro mare ha un valore inestimabile per la sua quantità di biodiversità, un valore, come provocatoriamente afferma Faimali, pari alla quarta economia d’Europa, se il Mediterraneo fosse uno stato. Non possiamo permettere che le plastiche lo avvelenino e che avvelenino il nostro futuro, quando in mare ci sarà più plastica che pesci.

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di M.B

Cambiamento climatico: le specie a rischio nel Mediterraneo

Uno studio condotto dal WWF insieme alle università di East Anglia e l’australiana James Cook University, ha lanciato l’allarme sul possibile dimezzamento delle specie autoctone del Mediterraneo entro il 2100 se non si ridurrà drasticamente l’inquinamento di CO2. L’alimentazione e la riproduzione di alcune specie di tartarughe (tartaruga verge, caretta e tartaruga liuto) sono molto condizionate dalla temperatura: se dovessero esserci degli aumenti, nei luoghi di nidificazione, i piccoli potrebbero non sopravvivere oppure nascere solo femmine, in quanto i maschi nascono solo nelle zone più fresche dove vengono deposte le uova. Inoltre i livelli delle maree, o del mare stesso e gli eventi meteorologici estremi potrebbero danneggiare i luoghi di nidificazione, con conseguente impossibilità per le tartarughe di deporre le uova al sicuro. I cetacei invece rischiano di non poter nutrirsi del krill, un piccolo crostaceo che attualmente al limite della propria tolleranza ecologica ed è probabile che subisca gli effetti negativi del cambiamento climatico assieme ai suoi predatori. A loro volta tonni, razze, squali ed altre specie verrebbero colpiti nelle loro catene riproduttive e alimentari con conseguenze distruttive per l’ecosistema.

DA “IL CORRIERE DELLA SERA”

A cura di M.B.

Pesca a rischio nei mari surriscaldati

Secondo uno studio pubblicato su Science, se l’aumento delle temperature continuerà ai ritmi attuali, ci sarà un calo del 20% della pescosità dei mari nei prossimi 300 anni, con picchi del 60% nel Pacifico occidentale, con effetti duraturi.

Le simulazioni degli scienziati californiani della Università di Irvine hanno preso in considerazione lo scenario peggiore, con aumento delle temperature non mitigato, con oltre 10 gradi in più sulla terra entro il 2300. Avverrebbe dunque lo scioglimento dei ghiacci completo, col mare che andrebbe a coprire una parte delle terre emerse con sconvolgimenti enormi per gli ecosistemi marini attraverso anche il cambiamento delle correnti e conseguente modifica del ciclo di distribuzione delle sostanze nutritive, ovvero del fitoplancton, che si svilupperebbe nelle profondità dell’Antartide e non altrove, a latitudini più settentrionali, dove il pesce inizierebbe decisamente a scarseggiare. In uno scenario del genere è difficile immaginare come se la caverebbe l’uomo; ed è quasi superfluo ribadire che ridurre l’inquinamento ne va della nostra sopravvivenza come specie.

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di M.B.

Quasi tutti gli uccelli marini mangeranno plastica nel 2050

Nel 2050, la quasi totalità degli uccelli marini si ciberà di plastica, a causa degli 8 milioni di tonnellate di plastica che gettiamo ogni anno negli oceani. Nel 2015 abbiamo gettato in mare l’equivalente di 900 grattacieli alti come l’Empire State Building. La catena alimentare così viene disturbata da questi elementi tossici, che vengono ingeriti dai pesci che poi mettiamo sulle nostre tavole, completando il ciclo. La plastica soffoca tartarughe e delfini e le microplastiche contenute in detergenti e cosmetici stanno avvelenando le acque del nostro pianeta. Molti paesi, dalla Francia, all’Inghilterra e all’Italia, passando per Canada e alcuni stati africani, si sono mobilitati per proibire shopper in plastica, posate, bicchieri e piatti non compostabili e microplastiche, eppure c’è ancora molto da fare per mitigare questa tragica situazione per il mare, per gli animali e per noi stessi.

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di M.B.

Strage di oranghi: 100.000 uccisi in 16 anni

La popolazione degli oranghi del sudest asiatico, secondo una ricerca compiuta dal Max Planck Institute e pubblicata su Current Biology, è stata letteralmente decimata a partire dal 1999: varie cause, quali la deforestazione, le piantagioni di olio di palma e la caccia indiscriminata, sono alla base di questo scempio causato dagli esseri umani. Ben 100.000 esemplari sono stati uccisi a causa delle attività umane, che si trovano sempre più spesso a ridosso degli habitat delle scimmie, che vengono fatte oggetto di veri e propri raid dei cacciatori. Il WWF si è mobilitato per creare dei “ponti” per ricollegare gli esemplari sfollati ad altri punti della foresta lontani dalle piantagioni, ma è una soluzione a breve termine, difficile da portare avanti: la verità è che l’uomo dovrebbe smettere di depredare e depauperare l’habitat di queste creature, mettendo fine alla deforestazione.

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di M.B.