Orsi polari a rischio sopravvivenza

Uno studio condotto da scienziati americani e pubblicato sulla rivista Science, mette in luce il problema della sopravvivenza degli orsi polari, i quali vedono restringersi sempre più i ghiacci marini, il proprio habitat, e con essi il numero delle prede per soddisfare i propri bisogni nutritivi.

L’esperimento, capitanato dal ricercatore americano Anthony Pagano, prevedeva l’osservazione e lo studio di alcuni esemplari di orso polare femmina nel proprio habitat per 8-11 giorni; la novità consiste nell’utilizzo di apparecchiature-collari munite di videocamera e sensori per l’attività metabolica, una sorta di FitBit, il braccialetto fitness. Dai risultati è emerso che il metabolismo degli orsi è più veloce di quanto si credeva e che in primavera, momento in cui dovrebbe registrarsi un aumento di peso per poter allevare e nutrire i cuccioli, in realtà su nove esemplari, cinque avevano perso massa corporea. Tutto questo accade a causa della mancanza di prede (foche principalmente) in un habitat che sta cambiando volto drasticamente e con rapidità.

 

DA “LA STAMPA”

A cura di M.B.

Il Perù costruirà una superstrada nel mezzo della foresta amazzonica

L’appello del Papa durante il suo viaggio in Perù contro la deforestazione selvaggia e i minatori illegali è rimasto inascoltato: il governo peruviano ha approvato un progetto per tagliare in due il polmone verde della Terra, con una superstrada a due corsie, lunga 227 km, che collegherà Brasile e Perù. Tutto questo per ovvi vantaggi economici dei due paesi, che hanno ceduto alle lobby industriali e del legno pur di facilitare affari e commerci; ciò è apertamente in conflitto con gli interessi delle comunità locali indigene, che vivono uno stile di vita tradizionale in un isolamento volontario. La deforestazione per la realizzazione del progetto sarà massiccia, il mogano, legno pregiato, sarà commerciato in tutto il mondo e ciò avverrà in spregio della conservazione degli habitat naturali di ben cinque parchi nazionali e a danno degli indigeni stessi.

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di M.B.

I pipistrelli soffrono il caldo in Australia, le iguane il freddo negli USA

Mentre iguane e altri animali si “ibernano” sembrando morti per il freddo negli USA, in Australia il caldo torrido, mai così caldo dal 1939, sta mettendo a dura prova molte specie. Opossum che si scottano le zampe sul cemento, i koala disidratati, i volatili pigri che non volano e pipistrelli che cadono al suolo “bolliti” poiché non sopportano temperature superiori ai 40 gradi, sono alcune delle problematiche registrate presso la fauna. I pipistrelli soffrono molto il caldo e il loro numero è decisamente diminuito in Australia a causa delle ondate di calore che negli anni passati hanno flagellato la comunità di volpi volanti, tanto che ora sono considerate una specie “vulnerabile”.

DA “LA STAMPA”

A  cura di M.B.

Mekong: il fiume conteso tra Cina e Sudest asiatico

Il fiume Mekong, le cui piene una volta giungevano naturalmente con l’alternarsi delle stagioni, un fiume pescoso, ora è flagellato dalla siccità e l’inquinamento, sfruttato al massimo attraverso la costruzione di numerose dighe che hanno creato danni all’agricoltura e bloccato le migrazioni dei pesci. I pescatori cambogiani ormai si sono trasferiti in città per lavorare come operai nel settore delle costruzioni, poiché il lavoro che svolgevano i loro antenati da tempo immemore non è più redditizio. Il Mekong è sempre stato conteso per lo sfruttamento idrico, sfondo di guerre e massacri, una storia vissuta per la maggior parte del tempo all’oscuro dell’Occidente, un territorio inaccessibile per buona parte del ‘900 a causa del regime comunista. Il Mekong attraversa Cina, Laos, Thailandia, Cambogia e Vietnam e la sua biodiversità, specie per quanto riguarda i pesci, è superiore anche al Rio delle Amazzoni. Il Mekong lambisce un territorio in cui vivono di pesca e cerealicoltura da millenni mezzo miliardo di persone. Nel 1995 nasce la Mekong River Commission, un forum intergovernativo (il cui parere non è però vincolante) composto da Thailandia, Cambogia, Laos e Vietnam, che ha il compito di discutere la gestione delle acque e lo sviluppo sostenibile. Cina e Birmania agiscono solo formalmente da interlocutori esterni. Da allora è stato un fiorire di forum e organizzazioni per gestire le acque del fiume, ormai diventate strumento di geopolitica. La Cina però è il maggiore finanziatore dei progetti, dunque le discussioni sui progetti avvengono di fatto bilateralmente tra la Cina e la regione o la città interessata dai lavori; la retorica cinese non manca mai di sottolineare l’aspetto di condivisione di queste infrastrutture, nonostante si rifiuti sistematicamente di consultarsi con i paesi non direttamente interessati dal singolo progetto. La gestione delle acque dunque è di fatto in mano alla Repubblica Popolare e gli ambientalisti non ci stanno: il livello del fiume si è abbassato a causa delle dighe fatte costruire dai cinesi, i quali non hanno ascoltato la richiesta fatta dalla Mekong River Commission di valutarne l’impatto ambientale. Le attività tradizionali come la pesca hanno subito un brusco calo e il Laos e il Vietnam saranno i paesi che, essendo più poveri e sottosviluppati, pagheranno il prezzo più alto: fungeranno da “pile” per l’energia idroelettrica del sudest asiatico attraverso la costruzione delle centrali idroelettriche sugli affluenti del Mekong, ma l’energia sarà venduta a Thailandia e Cambogia. C’è da scommettere che la popolazione dei paesi più poveri non trarrà alcun vantaggio dalla situazione, solo la distruzione degli habitat e la scomparsa dei loro mezzi di sussistenza millenari.

DA “LA STAMPA”

A cura di M.B.

WWF: strage di elefanti in Congo

Nell’area chiamata “Tridom”, tra Camerun, Repubblica del Congo e Gabon, la situazione per gli elefanti, a causa del bracconaggio, è drammatica: negli ultimi dieci anni la loro popolazione è scesa del 70%. E’ il Wwf a rendere noti questi dati, risultanti da un censimento svolto in collaborazione con i governi locali, in aree protette ma anche zone circostanti ad esse, tra il 2014 e il 2016.

Il censimento comprendeva non solo gli elefanti ma anche le scimmie antropomorfe come scimpanzé e gorilla. Nell’area esaminata sono stati contati 9500 esemplari di elefanti e 59.000 scimmie, e mentre la popolazione di queste ultime tra 2008 e 2016 risulta nel complesso stabile, la popolazione degli elefanti è calata del 66%. Da questi dati si evince come il bracconaggio sia una piaga dilagante (mirano ad impossessarsi dell’avorio per commerciarlo illegalmente) e principale causa di declino nella popolazione di pachidermi, i quali cercano rifugio, come ultimo avamposto, nelle aree protette. La tendenza sarà invertita solo nel momento in cui si attueranno serie politiche per perseguire i crimini contro la fauna in Africa; per questo motivo è necessario che organismi internazionali e governi locali facciano fronte comune per agire a tutela degli animali sia alle frontiere che nelle aree protette.

DA “LA STAMPA”

A cura di M.B.