Fuggire da un disastro ambientale

Milon, nato e vissuto a Dacca, ha dovuto abbandonare il Bangladesh a 20 anni a causa delle incessanti piogge e uragani che si sono abbattuti sulle terre della sua famiglia, che ormai faticava a procurarsi da mangiare dal suolo tramutato in fango. Milon ora si trova all’Aquila, dove ha ottenuto dal tribunale della stessa la protezione umanitaria per motivi ambientali: la sua povertà è stata causata dai cambiamenti climatici e dai fenomeni di deforestazione e land grabbing nel suo paese d’origine. Spesso nel benestante Occidente ci illudiamo che le disgrazie altrui non ci riguardino, che sono fenomeni lontani, che non ci toccheranno. In realtà le previsioni ci dicono tutto il contrario. Certo i primi ad essere colpiti, e che già stanno subendo le conseguenze del cambiamento climatico sono i paesi sottosviluppati, dai quali partono sempre più persone in fuga da disastri naturali e miseria. I rifugiati nel mondo secondo l’UNHCR sono 14-15 milioni, di cui 3 milioni e 100.000 in Europa. Dei profughi ambientali si parla ancora poco, ma entro il 2050 ci saranno 200-250 milioni di profughi climatici (una media di 6 milioni l’anno), con conseguenti problemi di sradicamento dalla propria terra natale e difficoltà di adattamento. Bisogna dire che lo sfruttamento delle risorse naturali e la ricerca di combustibili fossili sono delle importanti concause delle migrazioni, in quanto alcune multinazionali costringono gli abitanti locali ad abbandonare le loro terre. La questione dei rifugiati ambientali e il loro status è attualmente in discussione presso la Commissione Europea, mentre l’immigrazione è un tema sempre più caldo a livello internazionale. Se potessimo utilizzare esclusivamente o quasi energia rinnovabile, ci sarebbe una riduzione drastica degli spostamenti e delle catastrofi dovute all’effetto serra. Oltre alla responsabilità enorme delle aziende che utilizzano combustibili fossili c’è anche la questione dell’allevamento intensivo, dell’agricoltura e della deforestazione. Bisogna impegnarsi come cittadini ed istituzioni a contrastare su tutti i fronti il business senza scrupoli di coloro che sfruttano il cambiamento climatico per avvantaggiare le proprie aziende, distruggendo così ulteriormente il nostro Pianeta; molte aziende petrolifere si stanno attrezzando infatti per andare a trivellare dove il ghiaccio si è sciolto, nell’Artico. Il cambiamento climatico colpisce noi tutti, a tutte le latitudini, ripercuotendosi sul tessuto socio-economico con danni incalcolabili. Già la siccità (pensiamo anche all’Italia, la cui agricoltura è finita in ginocchio nel 2017) e le alluvioni hanno causato ripercussioni sull’economia dei paesi occidentali e la vita di coloro che ne sono stati coinvolti direttamente; in Asia ormai si fronteggiano molto spesso tifoni e alluvioni disastrose, che reclamano numerose vite. In futuro l’innalzamento delle acque dei mari diventerà un problema non solo per le isolette del Pacifico, ma anche per le nostre città, prima tra tutte Venezia. La questione dei rifugiati climatici e più in generale del cambiamento climatico non è affatto affare di qualcun altro: ci riguarda molto da vicino e bisogna agire in fretta.

DA “LA STAMPA”

A cura di M.B.

Allarme ONU: Nel 2050 il 66% della popolazione mondiale vivrà in città

Il rapporto annuale ONU sulla popolazione mondiale ha sottolineato un problema del prossimo futuro: un sovraffollamento delle grandi città entro il 2050, che rischierebbero così il collasso. La popolazione rurale entro quella data si sarà trasferita quasi completamente nelle grandi città secondo lo studio; sarà il massimo picco di crescita della popolazione. Le megalopoli sono destinate ad aumentare in numero e quasi tutte quelle dei paesi asiatici, con Cina e soprattutto India in testa, saranno talmente popolate da essere pressoché invivibili. Si estenderanno fino ad oltre un terzo in più della loro attuale dimensione. Solo alcune città dell’est Europa manterranno una costante parabola discendente della popolazione, iniziata mezzo secolo fa.

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di M.B.

2050: 143 milioni di migranti climatici

Un rapporto della Banca mondiale sui cambiamenti climatici dal titolo “Groundswell: Preparing for Internal Climate migration” ha sottolineato come il cambiamento climatico devastante sarà la causa di spostamenti di massa dall’Asia meridionale, l’Africa subsahariana e l’America latina. Tuttavia una crisi migratoria di tali proporzioni potrebbe essere mitigata, secondo gli esperti della Banca Mondiale, attraverso interventi di sostegno per l’istruzione, la formazione e lo sviluppo di questi stessi territori, portando la quota migranti a “soli” 40 milioni nel 2050.

Vari enti di ricerca come l’Earth Institute della Columbia University, l’Istituto per la ricerca demografica della NY University e il Potsdam Institute per la ricerca sull’impatto dei cambiamenti climatici, hanno incrociato dati come il previsto aumento delle temperature, precipitazioni, innalzamento del livello del mare e fattori socio-demografici per paesi come Messico, Etiopia e Bangladesh. Successivamente si sono basati su tre possibili scenari del futuro elaborati da IPCC: uno pessimista, in cui le disuguaglianze permangono e il cambiamento climatico peggiora, uno intermedio, dove l’economia lentamente migliora e le emissioni si arrestano, e uno ottimistico, in cui la riduzione delle emissioni si abbina ad un nuovo e più equo assetto economico. Le previsioni sui 143 milioni di migranti climatici sono tratte dallo scenario pessimista, con 86 milioni di migranti dall’Africa subsahariana, 40 dall’Asia meridionale e 17 dall’America Latina. Purtroppo sono le aree rurali che più soffrono il cambiamento climatico, mentre in Asia meridionale i problemi maggiori sono l’assenza di acqua potabile e l’erosione costiera.

Lo studio comprende solo i migranti che si spostano di distanze superiori ai 14 km (dunque restano escluse isole che già sono state sommerse e i cui abitanti hanno dovuto spostarsi). A breve l’Assemblea generale delle Nazioni Unite dovrebbe varare un Patto mondiale per le migrazioni, ma sembra essere un progetto destinato al fallimento: già Trump ha ritirato l’adesione degli USA al progetto in quanto incompatibile con la nuova politica migratoria.

DA “LA STAMPA”

A cura di M.B.

Gli indigeni del lago Poopo in Bolivia costretti ad emigrare

Il lago Poopo in Bolivia, ormai da alcuni anni completamente all’asciutto, era il punto di riferimento della comunità degli Uru-Murato, i quali hanno visto il loro lago prosciugarsi a causa di inquinamento, siccità e a causa delle attività delle limitrofe miniere. Oggi gli indigeni fanno molta fatica a praticare le loro tradizionali attività agricole, hanno cercato di convertirsi alla coltivazione della quinoa, ma con scarso successo. Sta iniziando una vera e propria migrazione di massa verso le città, che oltre a provocare sofferenze in chi è coinvolto direttamente in questa catastrofe, causerà una perdita incommensurabile di conoscenze e tradizioni una volta che gli indigeni spariranno nelle grandi città globalizzate.

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di M.B.

Un miliardo di rifugiati climatici entro il 2050

Il rapporto Lancet Countdown ha stimato un miliardo di rifugiati climatici entro il 2050; dato sconvolgente che ci ricorda come tanti migranti facciano parte della categoria di coloro che fuggono da un clima che ormai ha reso pressoché invivibili i loro paesi. Tifoni, alluvioni e carestie hanno messo in ginocchio popolazioni con un’ampia maggioranza di individui che vivono sotto la soglia della povertà in Africa e Asia ma anche in Oceania, dove le Fiji sono ormai sotto la minaccia di inabissamento. Non sono solo Ong e ambientalisti ad affrontare queste tematiche ma anche esperti delle forze armate e della sicurezza di paesi come gli USA; se la situazione dovesse peggiorare (e questa è purtroppo la tendenza) si potrebbero avere 10-20 milioni di rifugiati climatici nei prossimi anni, provenienti prevalentemente dall’Africa, che provocherebbero tensioni economiche e sociali inimmaginabili. Se pensiamo che la situazione di oggi sia difficile ci sbagliamo di grosso. Le conseguenze si vedranno anche sul piano della salute: le ondate di calore e l’inquinamento oltre alle nuove malattie tropicali veicolate dalle zanzare contribuiranno al peggioramento della salute generale. Per sperare in un futuro meno cupo bisogna partire immediatamente con serie politiche di decarbonizzazione e spendendo in misure di adattamento e mitigazione dove non si può fare in altro modo. Si discuterà a Bonn, dove si svolgerà COP23, anche di una sorta di polizza globale contro il cambiamento climatico e soprattutto le sue catastrofi, per impedire a chi le subisce di essere costretto ad emigrare.

DA “LA STAMPA”

A cura di M.B.