El Niño responsabile del picco di CO2 negli ultimi due millenni

L’aumento di emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera è causato dal fenomeno atmosferico ciclico che si origina nel Pacifico equatoriale ed è detto El Niño: questo è un dato che gli scienziati già da tempo avevano appurato. Tuttavia la portata di quest’incremento non era nota, ma ora il dilemma è stato risolto da un satellite orbitante della Nasa, che ha rilevato come l’ultimo fenomeno di El Niño (2015-2016), abbia causato il più notevole incremento di emissioni di CO2 negli ultimi duemila anni; infatti tra Sudamerica, Africa e Asia sud orientale sono state emesse 2,5 miliardi di tonnellate di anidride carbonica in più rispetto al 2011 (ovvero un picco del 50% in più di emissioni rispetto alla media di 3 ppm all’anno di CO2). Lo scorso mese di maggio ha registrato ben 409, 65 ppm di CO2 nell’atmosfera (solo 9 anni fa era 21 ppm più basso).

Nell’Ottocento, agli albori della produzione industriale, i miliardi di tonnellate di anidride carbonica erano 595, oggi sono 890. Questo aumento causa a sua volta un picco di fenomeni El Niño, che portano temperature ed eventi estremi, portando a loro volta ad un aumento significativo di CO2: la situazione è quella del gatto che si morde la coda.

DA “IL CORRIERE DELLA SERA”

A cura di M.B.

Cresce l’allarme acqua in Italia

La situazione delle risorse idriche in Italia è disastroso: i consumi aumentano, i cambiamenti climatici esasperano la cattiva gestione delle nostre risorse. L’Italia è decisamente indietro sul sesto obiettivo previsto dall’Agenda 2030; i dati dell’Asvis (Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile) sono chiari e molto negativi per il nostro paese. Ogni giorno l’Italia spreca risorse idriche che basterebbero per circa 10 milioni di persone (il 38% circa dell’acqua immessa nelle reti di distribuzione) e ben 10 regioni sono in emergenza idrica (Emilia Romagna, Veneto, Toscana, Marche, Lazio, Molise, Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna). La cattiva gestione impedisce alla disponibilità d’acqua teorica di coincidere con quella pratica: deflussi irregolari e carenza di infrastrutture adeguate sono i maggiori problemi. Il 70% dell’acqua è utilizzato solo per l’agricoltura.

L’UE ha aperto a carico dell’Italia procedure di infrazione delle norme comunitarie sulla depurazione delle acque, mentre in senato è in via di approvazione un disegno di legge sulla gestione delle acque. Purtroppo la situazione è nel frattempo peggiorata in quanto gli italiani bevono acqua di rubinetto di qualità bassa a causa degli inquinanti, le acque costiere sono sempre più inquinate, i ghiacciai si stanno fondendo con conseguente dispersione di acqua e il settore pubblico è sempre meno presente nelle opere di sanitizzazione delle acque.

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di M.B.

La nostra vita dipende dall’oceano ma lo stiamo uccidendo

Vladimir Ryabinin, segretario esecutivo della Commissione oceanografica intergovernativa dell’Unesco ha lanciato un forte monito sul fatto che in futuro le acque del pianeta si riscalderanno, s’innalzeranno e conterranno più residui plastici che pesci. Le conseguenze saranno catastrofiche: uragani violenti, aree costiere sommerse e persone costrette ad emigrare, riduzione di ossigeno nell’acqua e nell’atmosfera per l’assenza di fitoplancton e proliferazione di alghe tossiche. L’oceano in poche parole sarà mezzo morto: abbiamo lasciato la nostra culla primordiale, le acque, per poi tornare a distruggerle con inquinamento e azioni scellerate, che pagheremo care. Questo è il momento di agire e mettere sul tavolo tutte le conoscenze e competenze per la salvaguardia dell’ecosistema marino, da cui dipendono direttamente 3 miliardi di persone per la loro sussistenza.

Purtroppo i dati sono sconfortanti: il rapporto plastica:pesci è 1:1, le tonnellate di rifiuti sversati in mare ogni anno sono 8, il 40% degli oceani è danneggiato a causa di attività umane e sono 1,2 milioni per chilometro quadrato i frammenti di microplastiche nel Mediterraneo. Questi dati dovrebbero bastare a far salire questo tema nelle agende dei governi, che hanno consapevolezza del problema ma spesso si arenano quando si tratta di gestirlo in modo efficace e incisivo, mancano politiche comuni e solo l’1% delle risorse economiche vengono spese per la ricerca sugli oceani nel mondo; in realtà sarebbe un investimento lungimirante dato lo stato delle cose. Il mare sta combattendo per la sopravvivenza, ma noi dobbiamo aiutarlo per aiutare noi stessi.

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di M.B.

In Italia l’inquinamento uccide di più che in altre nazioni europee

Nonostante il leggero miglioramento (generalizzato) riscontrato nella qualità dell’aria negli ultimi anni, l’Italia resta uno dei paesi in Europa in cui si contano più decessi per inquinamento.

Un recente report elaborato dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile con Enea e Ferrovie, ha riscontrato come l’Italia, con 90.000 morti premature, 1500 decessi per milione di abitanti, batte grandi paesi europei come Spagna, Francia, Germania e Gran Bretagna. Sappiamo da tempo che la qualità dell’aria peggiore è quella in Val Padana, ma anche le aree metropolitane di Milano, Roma, Firenze, Napoli e Taranto presentano situazioni critiche. La responsabilità va cercata non solo nel traffico automobilistico e nei motori diesel, ma anche nell’industria, nell’agricoltura e nel riscaldamento (a biomasse legnose, pellet e tradizionali). In Europa si contano 500.000 morti premature l’anno a causa dell’inquinamento atmosferico, 20 volte il numero di vittime di incidenti stradali (e il peso stimato sul Pil europeo del deterioramento della salute per lo stesso problema è pari al 2-6%). In Italia tuttavia i dati sono peggiori che altrove, abbiamo infatti un costante record negativo per il particolato e il biossido di azoto e i miglioramenti degli ultimi anni sono troppo limitati rispetto all’obiettivo fissato nel 2030 per la riduzione degli inquinanti atmosferici.

Le biomasse legnose, dato che forse ci sorprenderà, sono responsabili del 99 % del particolato nelle aree urbane residenziali (stufe manuali e caminetti aperti per il 90 % mentre i più recenti caminetti chiusi e stufe a ricarica automatica per il 9 %). La produzione agricola con i suoi fertilizzanti e la zootecnia, l’industria, la generazione elettrica e lo smaltimento rifiuti sono invece responsabili dell’inquinamento atmosferico extraurbano. Il rapporto della Fondazione per lo sviluppo sostenibile propone un piano che comprende la riduzione di auto private in città, con conseguente implementazione del trasporto pubblico, riqualificazione di edifici pubblici e privati, limitazione delle biomasse per il riscaldamento domestico, e il controllo delle emissioni in agricoltura e nell’industria. Tutte proposte che finora il governo non ha preso seriamente in considerazione, o comunque in modo molto tiepido e limitato.

DA “LA STAMPA”

A cura di M.B.

Le emissioni dei leader dei combustibili fossili

La rivista scientifica Climate Change fondata nel 1969 da scienziati del MIT ha compiuto una ricerca tracciando le emissioni dei produttori più importanti di combustibili fossili come Shell, Bp, Chevron e Total (solo per fare alcuni nomi) e il risultato è il seguente: le emissioni di novanta aziende leader nel settore dei combustibili fossili sono responsabili per il 50% dell’incremento della temperatura globale, del 57% dell’anidride carbonica nell’atmosfera e del 30% dell’innalzamento dei livelli del mare dal 1880 ad oggi. Nella lista figurano anche le italiane Eni ed Italcementi, con responsabilità calcolate rispettivamente allo 0,3% e allo 0,02%. I maggiori responsabili, quasi superfluo a dirsi, sono le aziende petrolifere americane, cinesi, russe e del Golfo Persico.

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di M.B.