Il nuovo rapporto del Club di Roma

Il Club di Roma, fondato cinquant’anni fa da Aurelio Peccei ed Alexander King, era considerato un ente visionario, ma oggi sappiamo che le loro erano previsioni accurate: già dal 1972 il Club di Roma aveva messo in guardia sui pericoli di una crescita incontrollata, aveva tracciato un Rapporto sui limiti dello sviluppo rimasto largamente ignoto. Inascoltati gli appelli lanciati, in quanto il modello di sviluppo è rimasto sempre lo stesso, fino alla crisi dieci anni fa. Oggi quasi 8 miliardi di esseri umani abitano il nostro pianeta e devono poter usufruire delle risorse che esso ci offre: se non impariamo dai nostri errori invertendo una volta per tutte la rotta economica, allontanandola dal modello del dopoguerra, non riusciremo a sopravvivere come specie. Il nuovo rapporto del Club di Roma, in occasione della celebrazione di mezzo secolo di attività, ha insito nel proprio titolo l’urgenza del cambiamento: Come On! Dal primo rapporto la situazione della Terra è cambiata drasticamente: un incremento spaventoso della popolazione, il 97% degli animali composto da poche specie da allevamento e le concentrazioni di gas serra, sempre più alte, che rischiano di far schizzare la temperatura a +3 gradi centigradi rispetto alla media preindustriale. Crisi economiche, sociali e ambientali si sommano a creare povertà, instabilità e sfiducia nei governi. I governi hanno stanziato 100 miliardi di dollari per ridurre i gas serra, ma a cosa mai serviranno se una cifra sei volte tanto viene stanziata per cercare combustibili fossili?

L’ultimo rapporto IPCC insieme al rapporto del Club di Roma ci impongono di guardare in faccia la realtà e soprattutto agire, perché il tempo sta scadendo. I consumatori stanno iniziando ad avere maggiore consapevolezza e più imprese e multinazionali (Coop, Novamont, Sofidel, Enel e LVHM/Bulgari) stanno portando avanti progetti su vari fronti ambientali, quali la riduzione dell’utilizzo della plastica, la gestione dei rifiuti, la riduzione delle emissioni nocive e contro il disboscamento selvaggio. E’ ora di chiedersi come ognuno possa contribuire perché queste non siano iniziative isolate.

DA “LA STAMPA”

A cura di M.B.

Cifre sempre più allarmanti per l’inquinamento

La cifra che periodicamente tira fuori l’Oms per segnalare la pericolosità dell’inquinamento, ovvero 4 milioni di morti all’anno, purtroppo va vista al rialzo, anzi: va più che raddoppiata, perché i morti sono 8,9 milioni l’anno. La nuova cifra è stata pubblicata sulla rivista Pnas da un consorzio mondiale di scienziati che al posto del modello di calcolo tradizionale ha sperimentato uno studio su gruppi da una cinquantina di persone sparsi per il mondo che periodicamente forniscono informazioni circa la loro salute con esposizione a inquinamento e rischi correlati. Non è uno studio fatto di approssimazioni con dati mescolati sul fumo di sigaretta, stufe a carbone e polveri sottili: lo studio è dato dalla reale concentrazione di queste ultime, presente nel 97% dei territori abitati, che siano campagne o città. Le cause più frequenti di morte dovute a inquinamento sono ictus, tumori al polmone e ostruzioni e infezioni delle vie respiratorie. Altre due malattie nella lista potrebbero sorprendere: sono il diabete e la demenza, che recenti studi hanno collegato all’inquinamento, che giocherebbe un ruolo pesante sulla gravità di esse. Infatti uno studio cinese ha appurato che vi è un collegamento tra il declino mentale e l’inquinamento atmosferico. Allo studio hanno partecipato anche organizzazioni come l’Oms, che sottolineano come le morti evitabili siano aumentate del 120% per quel che riguarda l’inquinamento e che dunque basterebbe una politica più incisiva nel passaggio ad energie pulite per poter salvare vite umane. I morti per inquinamento sono più di quelli causati dal fumo e la distribuzione dei morti è collegata al livello di industrializzazione: i paesi in ascesa industriale come Cina, India e quelli del Medio Oriente contano 5 milioni di morti, mentre in Europa e USA ci si attesta tra i 230 e i 440 mila.

DA “IL CORRIERE DELLA SERA”

A cura di M.B.

La microplastica nei molluschi

Uno studio di Greenpeace ha appurato che le microplastiche non si trovano solo nello stomaco dei pesci più grandi, ma anche nei molluschi: ebbene anche il più piccolo organismo marino ormai è infettato dalle velenose microplastiche, che costituiscono la “zuppa” in cui si muovono i pesci. Si tratta di polimeri da pochi millimetri di spessore, quelli che si trovano, per intenderci, in scrub per il corpo o dentifrici. Il polietilene è l’elemento più diffuso nello stomaco dei pesci quali acciughe, triglie, merluzzi e scorfani (ma anche cozze e gamberi) ed è utilizzato per il packaging industriale. La situazione più critica resta l’Isola del Giglio, ma si sono registrati miglioramenti dal momento della rimozione del relitto della Costa Concordia. Purtroppo il Tirreno (come il Mediterraneo) è invaso dalla plastica, ma non dobbiamo considerare solo la plastica che possiamo osservare ad occhio nudo: la plastica si riduce a pezzi infinitesimali, tanto da rendere il mare una “zuppa” di microplastiche quasi invisibili, che rischiano di diventare nanoplastiche. A quel punto se ingerite da i pesci e assimilate nei tessuti potrebbero trasferirsi all’uomo direttamente, e non vi sono studi che possano prevedere cosa accadrebbe a quel punto.

Per questo motivo non basta riciclare la plastica, bisognerebbe non utilizzare del tutto ciò che viene detto “usa e getta”; il sindaco delle Isole Tremiti ha già preso provvedimenti in questo senso, con un’ordinanza che vieta stoviglie monouso.

DA “LA STAMPA”

A cura di M.B.

L’anidride carbonica e il cibo

L’inquinamento da anidride carbonica, come indicano studi americani pubblicati su Nature Climate Change rischia in futuro di impoverire sempre di più i raccolti in termini nutrizionali, con inevitabile impatto negativo sulla salute umana. Si prevede che entro il 2050, 175 milioni di persone in più soffriranno di carenza di zinco e 122 milioni di carenza di proteine. Il NOAA ha calcolato nel 2017 405 parti per milione di CO2 nell’atmosfera, ovvero livelli raggiunti 800.000 anni fa. Se non invertiamo presto questa tendenza, potremo ritrovarci nel 2100 con 800 parti per milione di CO2 nell’atmosfera e un aumento catastrofico di 4 gradi centigradi. I livelli, se si mantiene lo status quo, saranno fra 30-50 anni di 550 parti per milione e ciò significa una riduzione dal 3 al 17% del contenuto di proteine, zinco e ferro in 225 alimenti consumati oggi in 151 paesi del mondo (tenendo conto di disposizione demografica e di disponibilità alimentare dei paesi stessi). Si calcola anche un aumento dell’anemia del 4%. Chiaramente i primi a farne le spese saranno i paesi in cui già imperversa la malnutrizione, ovvero l’Africa subsahariana e il Sudest asiatico.

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di M.B.

Nel 2017 record di gas serra nell’atmosfera

La NOAA e la American Society of Meteorologists fa sapere che da uno studio condotto da 450 scienziati di tutto il mondo, viene fuori che nel 2017 c’è stata un’impennata del riscaldamento globale, generato dalla combustione di energie fossili e vari gas che hanno stabilito un nuovo record mondiale per concentrazione nell’atmosfera. L’anno in cui Donald Trump ha annunciato il ritiro dall’accordo di Parigi.

DA “La Repubblica”

A cura di M.B.