Cresce l’allarme acqua in Italia

La situazione delle risorse idriche in Italia è disastroso: i consumi aumentano, i cambiamenti climatici esasperano la cattiva gestione delle nostre risorse. L’Italia è decisamente indietro sul sesto obiettivo previsto dall’Agenda 2030; i dati dell’Asvis (Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile) sono chiari e molto negativi per il nostro paese. Ogni giorno l’Italia spreca risorse idriche che basterebbero per circa 10 milioni di persone (il 38% circa dell’acqua immessa nelle reti di distribuzione) e ben 10 regioni sono in emergenza idrica (Emilia Romagna, Veneto, Toscana, Marche, Lazio, Molise, Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna). La cattiva gestione impedisce alla disponibilità d’acqua teorica di coincidere con quella pratica: deflussi irregolari e carenza di infrastrutture adeguate sono i maggiori problemi. Il 70% dell’acqua è utilizzato solo per l’agricoltura.

L’UE ha aperto a carico dell’Italia procedure di infrazione delle norme comunitarie sulla depurazione delle acque, mentre in senato è in via di approvazione un disegno di legge sulla gestione delle acque. Purtroppo la situazione è nel frattempo peggiorata in quanto gli italiani bevono acqua di rubinetto di qualità bassa a causa degli inquinanti, le acque costiere sono sempre più inquinate, i ghiacciai si stanno fondendo con conseguente dispersione di acqua e il settore pubblico è sempre meno presente nelle opere di sanitizzazione delle acque.

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di M.B.

Esodo dei batteri a nord col surriscaldamento globale

I fitopatologi lanciano l’allarme per le nostre specie vegetali che in futuro saranno sempre più minacciate da funghi e batteri originari dei Tropici, che ora col riscaldamento globale “migrano” più a nord. Alcune colture, come quelle dello spinacio e del ravanello hanno già subito le conseguenze dell’attacco di questi organismi, che tendono a macchiare e far seccare le foglie della verdura.

DA “LA STAMPA”

A cura di M.B.

33 siti costieri italiani rischiano di sparire entro il 2100

Entro il 2100 lo scenario migliore prevede un innalzamento dei mari di 30 cm, quello peggiore di un metro e mezzo: zone come la Laguna di Venezia e il Delta del Po saranno palesemente ad alto rischio di essere sommerse dalle mareggiate. Ma vi sono anche altre zone come la Versilia, la piana pontina, Fondi, e le zone costiere di Catania, Taranto e Cagliari che rischierebbero molto: 7500 chilometri quadrati di costa che tra ottant’anni potrebbero sparire sott’acqua. L’Associazione italiana di geomorfologi avverte che il pericolo non verrà soltanto da terremoti, vulcani o esondazioni di fiumi ma anche dalle mareggiate, causate dalle precipitazioni sempre più intense (quasi monsoniche) che si verificheranno nel mar Mediterraneo con conseguenti alluvioni ed inondazioni.

Per questo motivo le università di Bari e del Salento, in collaborazione col Centro studi mediterraneo per i cambiamenti climatici, hanno messo a punto un sistema innovativo, presentato ieri, in grado di definire in tempo reale gli effetti di una mareggiata eccezionale e costruire scenari verosimili: il sistema si chiama “Start”, acronimo di Sistemi di rapid mapping e controllo del territorio costiero e marino. Ormai è provato scientificamente che gli effetti del mutamento climatico implementato dall’attività umana impatteranno duramente anche sulla fascia costiera italiana ed è chiaro a tutti che non si può più essere impreparati a questi eventi.

DA “IL CORRIERE DELLA SERA”

A cura di M.B.

In Italia l’inquinamento uccide di più che in altre nazioni europee

Nonostante il leggero miglioramento (generalizzato) riscontrato nella qualità dell’aria negli ultimi anni, l’Italia resta uno dei paesi in Europa in cui si contano più decessi per inquinamento.

Un recente report elaborato dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile con Enea e Ferrovie, ha riscontrato come l’Italia, con 90.000 morti premature, 1500 decessi per milione di abitanti, batte grandi paesi europei come Spagna, Francia, Germania e Gran Bretagna. Sappiamo da tempo che la qualità dell’aria peggiore è quella in Val Padana, ma anche le aree metropolitane di Milano, Roma, Firenze, Napoli e Taranto presentano situazioni critiche. La responsabilità va cercata non solo nel traffico automobilistico e nei motori diesel, ma anche nell’industria, nell’agricoltura e nel riscaldamento (a biomasse legnose, pellet e tradizionali). In Europa si contano 500.000 morti premature l’anno a causa dell’inquinamento atmosferico, 20 volte il numero di vittime di incidenti stradali (e il peso stimato sul Pil europeo del deterioramento della salute per lo stesso problema è pari al 2-6%). In Italia tuttavia i dati sono peggiori che altrove, abbiamo infatti un costante record negativo per il particolato e il biossido di azoto e i miglioramenti degli ultimi anni sono troppo limitati rispetto all’obiettivo fissato nel 2030 per la riduzione degli inquinanti atmosferici.

Le biomasse legnose, dato che forse ci sorprenderà, sono responsabili del 99 % del particolato nelle aree urbane residenziali (stufe manuali e caminetti aperti per il 90 % mentre i più recenti caminetti chiusi e stufe a ricarica automatica per il 9 %). La produzione agricola con i suoi fertilizzanti e la zootecnia, l’industria, la generazione elettrica e lo smaltimento rifiuti sono invece responsabili dell’inquinamento atmosferico extraurbano. Il rapporto della Fondazione per lo sviluppo sostenibile propone un piano che comprende la riduzione di auto private in città, con conseguente implementazione del trasporto pubblico, riqualificazione di edifici pubblici e privati, limitazione delle biomasse per il riscaldamento domestico, e il controllo delle emissioni in agricoltura e nell’industria. Tutte proposte che finora il governo non ha preso seriamente in considerazione, o comunque in modo molto tiepido e limitato.

DA “LA STAMPA”

A cura di M.B.

La “lobby green” e la politica tradizionale

La lobby green italiana, da tempo emarginata, ha dato un aut-aut alla politica e ai partiti tradizionali: se non si attueranno misure di riconversione verde nell’economia del paese, non otterranno il loro voto. La lobby green è costituita da piccole e medie imprese del Nord e del Sud che hanno fatto dello sviluppo sostenibile la propria missione e hanno introdotto criteri ecologici nelle strategie di gestione. Queste imprese vogliono dimostrare che oggi più che mai, col cambiamento climatico in pieno corso, investire nella difesa dell’ambiente è un’occasione di sviluppo economico e non solo un costo. Il 7 e l’8 novembre a Rimini il Consiglio nazionale delle imprese verdi metterà alla prova i candidati premier, in maniera trasversale e oltre gli schieramenti tradizionali, per capire chi è in grado di apprezzare e fare proprie le idee concrete di sviluppo sostenibile come le auto elettriche, le rinnovabili, la qualità dell’aria e l’utilizzo del suolo. Sarà premiato chi è veramente in grado di recepire il bisogno di un cambio di mentalità nella classe dirigente, l’unica rimasta stagnante quanto a idee sull’ambiente, mentre i cittadini e le imprese hanno ormai un grado abbastanza elevato di aspettative e maturità sul tema.

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di M.B.