La siccità nel Lago Maggiore

La carenza di piogge e il caldo hanno fatto sì che il Lago Maggiore inizi a perdere 3 cm al giorno di acqua, ovvero 6 miliardi di litri al giorno. Il livello è poco oltre lo zero idrometrico e tutto ciò si ripercuote sui trasporti da e per le isole in mezzo al lago. I temporali sparsi previsti su Lombardia e Piemonte nei prossimi giorni però non basteranno a riempirlo. Il grido d’allarme è lanciato dall’Associazione nazionale dei consorzi per la tutela dell’ambiente e del territorio, che ha osservato crisi idriche ormai in tutte le regioni del nord, comprese Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia. Ad aggravare la situazione dei laghi c’è anche la cementificazione a ridosso di essi e lo sversamento di rifiuti.

DA “Il Corriere della sera”

A cura di M.B.

Ondate di caldo in città e traffico

Il caldo torrido che finora aveva risparmiato l’Italia ora si farà sentire con l’anticiclone africano che porterà afa e più di 40 gradi in alcune zone interne di Sicilia e Sardegna. L’ondata sarà intensa e colpirà più città sia nel nord che nel sud della penisola per una settimana intera, con bollino rosso per città come Bolzano, Bologna e Torino. Una settimana rovente con 30 gradi a 1000 m, e lo zero termico a 4500. Il tempo quest’anno pare però che si modificherà più presto del solito: non più dopo ferragosto, ma dopo la prima settimana di agosto, quando una perturbazione atlantica porterà un po’ di refrigerio. L’esodo estivo avviene proprio in corrispondenza del grande caldo, con traffico da bollino nero in alcuni tratti autostradali.

DA “La Repubblica”

A cura di M.B.

Dissesto idrogeologico in Italia

Il rapporto dell’ISPRA “Dissesto idrogeologico in Italia”, ha messo in luce il fatto che nel 2018 sono a rischio in media ben il 91% dei nostri comuni ed oltre 3 milioni di famiglie abitano in zone ad alta vulnerabilità. Si espande inoltre rispetto a qualche anno fa la superficie soggetta ad allagamenti oppure a frane; 550.000 edifici sorgono in luoghi ad alto rischio frane mentre 1 milione di edifici sorgono in luoghi ad alto rischio di allagamento. 7 milioni di individui vivono in luoghi ad alta vulnerabilità: 1 milione di essi a causa di possibili frane e i restanti 6 milioni a causa di dissesti idraulici di media o alta intensità. I valori più elevati di popolazione a rischio si trovano in Veneto, Lazio, Campania, Toscana, Emilia Romagna, Lombardia e Liguria. Le industrie e i servizi collocati in zone a rischio frana si riscontrano maggiormente in Campania, Toscana, Emilia Romagna e Lazio. Mentre per ciò che riguarda il rischio alluvioni si trovano in Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Lombardia e Liguria. Quasi 38.000 beni culturali si trovano in aree a rischio frana, mentre 40.000 sono in zone a medio/basso rischio allagamento. In alcune regioni la percentuale di comuni a rischio raggiunge il 100%: Valle d’Aosta, Emilia Romagna, Toscana, Molise, Basilicata, Marche, Calabria, Umbria e Liguria, mentre in Lazio, Abruzzo, Piemonte, Campania, Trentino e Sicilia il rischio è calcolato tra il 91 e il 100%.

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di M.B.

Consumo del suolo in Italia

Il consumo del suolo in Italia aumenta nel 2017, mentre si perde sempre più superficie naturale: l’equivalente di due piazze Navona viene costruito ogni due ore, mentre ogni secondo vengono cementificati due metri quadrati di territorio. Il consumo del suolo è particolarmente intensificato nel Nord-Est del paese, a danno di aree protette, coste e corsi d’acqua. Il costo della cementificazione selvaggia è di due miliardi all’anno e comprende perdita di ecosistemi, perdita di produzione agricola e di legna: sono questi i dati del rapporto ISPRA 2018. Quasi un quarto del consumo di suolo avviene in aree paesaggisticamente protette e il 64% si deve alla presenza di cantieri e terra battuta pronta ad ospitare nuove infrastrutture ed edifici-non necessariamente abusivi. I nuovi edifici rappresentano il 13% ca. del territorio vincolato perduto nel 2018. Decine di migliaia di ettari nei Monti Sibillini e nel Parco del Gran Sasso sono stati impermeabilizzati per costruzioni progettate a seguito dei fenomeni sismici degli ultimi anni e preoccupa il fatto che nel 6% dei casi, nel 2017 le trasformazioni siano avvenute in aree a pericolo frana, e nell’oltre 15% dei casi in aree a rischio idrico medio/alto. Il consumo di suolo è più intenso nelle aree al di sotto dei 300 m (nell’81,7% dei casi), nelle aree costiere, quelle a rischio idraulico e in quelle a vincolo paesaggistico. Tra queste il Parco nazionale del Vesuvio, della Maddalena e del Circeo. A livello provinciale è però il centro-nord ad avere il record negativo 2017, con il comune parmense di Sissa Trecasali in testa, a causa del cantiere dell’autostrada Tirreno-Brennero. Molti piccoli e medi comuni si trovano con percentuali di territorio cementificato di oltre il 50-60% (in provincia di Napoli si arriva anche a oltre il 90%). La Lombardia e il Veneto sono in testa per incremento di aree edificate, insieme alle altre regioni del nord fino all’Emilia Romagna. Le regioni meno interessate da questo fenomeno quest’anno sono state la Valle d’Aosta insieme alla Basilicata e al Molise. Il WWF commenta a ragione che dopo aver rovinato la fascia costiera e reso irriconoscibile l’interno, ora la cementificazione selvaggia inizia ad accanirsi contro le aree vincolate più preziose per il nostro paese.

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di M.B.

Greenpeace sulla plastica: il riciclo non salverà i nostri mari

Il rapporto intitolato “Plastica: riciclare non basta. Produzione, immissione al consumo e riciclo di plastica in Italia” e redatto dalla Scuola Agraria del Parco di Monza per Greenpeace ha analizzato l’efficacia del sistema di riciclo degli imballaggi di plastica nel nostro paese e ha tratto la conclusione che per quanto ben funzionante non sarebbe comunque sufficiente ad arginare il problema dell’inquinamento nei nostri mari. Sempre secondo la ricerca, dal momento che la produzione di materiali plastici raddoppierà l’attuale volume entro il 2025, sarà necessario ridurre urgentemente e drasticamente l’immissione sul mercato di imballaggi in plastica. Il responsabile della campagna anti inquinamento di Greenpeace Italia, Giuseppe Ungherese, ha aggiunto che le grandi aziende produttrici di plastica, pur pienamente consapevoli dell’impossibilità di riciclarla tutta, continuano a produrre sempre più usa e getta. Il nostro paese in Europa è secondo solo alla Germania in tema di produzione di plastica, con un consumo pari a 6-7 miliardi di tonnellate l’anno (di cui il 40% sono imballaggi). Nonostante il riciclo sia aumentato al 43% nel 2017, l’utilizzo della plastica monouso continua ad aumentare. Inoltre la quantità di imballaggi in plastica non riciclati è rimasta invariata da anni, vanificando sforzi ed investimenti per rendere efficiente la differenziata; i dati Corepla del 2017 ci dicono che solo 4 imballaggi su 10 vengono riciclati, mentre 4 restanti vengono portati agli inceneritori e 2 vengono dispersi nell’ambiente. L’incremento previsto della pratica del riciclo purtroppo non riesce a bilanciare l’immesso nel consumo, nemmeno attraverso sistemi come la Responsabilità Estesa del Produttore o la possibile introduzione di depositi su cauzione. Greenpeace sostiene che la durevolezza e la riusabilità siano, per questo motivo, caratteristiche più importanti della riciclabilità del materiale e si rivolgono alle aziende come McDonalds e Starbucks, Coca-Cola e Nestlé (e tante altre) con una petizione sottoscritta da più di un milione di persone, per ridurre l’utilizzo di plastica monouso e imballaggi.

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di M.B.