Mediterraneo: in un chilometro cubo centinaia di kg di plastica

Il titolo contiene un’affermazione forte, fatta da Marco Faimali, ricercatore Cnr, intervenendo a Lerici (La Spezia) a un convegno organizzato da Sea Shepherd sulla pericolosità delle micro e nanoplastiche nei mari e negli oceani. Ha inoltre aggiunto che la plastica non è un inquinante qualsiasi, perché in grado di assorbire altri inquinanti, fungere da vettore e dunque veicolare tossicità agli organismi che si cibano delle sue micro-particelle triturate. Gli effetti delle microplastiche specialmente sui più piccoli e fondamentali organismi marini come lo zooplancton sono ancora in corso di accertamento. Il nostro mare ha un valore inestimabile per la sua quantità di biodiversità, un valore, come provocatoriamente afferma Faimali, pari alla quarta economia d’Europa, se il Mediterraneo fosse uno stato. Non possiamo permettere che le plastiche lo avvelenino e che avvelenino il nostro futuro, quando in mare ci sarà più plastica che pesci.

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di M.B

Pacifico: l’enorme isola di plastica 3 volte la Francia

La fondazione olandese Ocean Cleanup, ha verificato che l’isola di spazzatura nel Pacifico si sta ulteriormente espandendo; navi e aerei che l’hanno percorsa in lungo e in largo hanno contato ben 80.000 tonnellate di frammenti, un’area 3 volte la superficie della Francia. Purtroppo questa cifra è ben 16 volte più alta di quella che era stata stimata; l’isola ha l’aspetto di una densa zuppa e si trova tra le famose spiagge delle Hawaii e della California. Ci sono per la precisione 1,23 kg di spazzatura per metro quadrato (dati 2015) e il 99,9% di essa è costituita da plastica, di cui il 94% microplastiche, che sappiamo essere le più dannose per l’ecosistema marino. Le 18 navi della Ocean Cleanup sono solo riuscite ad eliminare una parte della superficie dagli oggetti, ma quelli restanti e le microplastiche in particolare, verranno nel tempo ingerite dai pesci e ri-immesse nella catena alimentare, con esiti finora non del tutto prevedibili.

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di M.B.

L’isola di Pasqua sta per essere sommersa dall’Oceano

La bellissima Isola di Pasqua, patrimonio dell’umanità, a causa di cambiamento climatico ed inquinamento, rischia entro il 2100 di essere parzialmente sommersa: è l’allarme lanciato dall’ONU. I Moai, i famosi monumenti antropomorfi dell’isola, rischiano di finire sommersi, tanto che si sta pensando a delle barriere per proteggerli dall’inesorabile erosione costiera. Le statue in pietra, erette tra il 1100 e il 1600 ca. dC, sono le uniche testimonianze di una civiltà vissuta in completo isolamento per secoli, ed è impensabile perderle. L’aumento del livello del mare sta anche colpendo le isole Marshall e Salomone; con l’aiuto di una sovvenzione di 400 mila dollari da parte del governo giapponese, si sta tuttavia sperimentando nell’atollo di Runga Va una barriera o muro marittimo per mitigare i danni dell’erosione delle coste. Non si sa se il muro funzionerà, o se sarà necessario spostare i Moai per permettere alle future generazioni di goderne la vista.

DA “LA STAMPA”

A cura di M.B.

Cambiamento climatico: le specie a rischio nel Mediterraneo

Uno studio condotto dal WWF insieme alle università di East Anglia e l’australiana James Cook University, ha lanciato l’allarme sul possibile dimezzamento delle specie autoctone del Mediterraneo entro il 2100 se non si ridurrà drasticamente l’inquinamento di CO2. L’alimentazione e la riproduzione di alcune specie di tartarughe (tartaruga verge, caretta e tartaruga liuto) sono molto condizionate dalla temperatura: se dovessero esserci degli aumenti, nei luoghi di nidificazione, i piccoli potrebbero non sopravvivere oppure nascere solo femmine, in quanto i maschi nascono solo nelle zone più fresche dove vengono deposte le uova. Inoltre i livelli delle maree, o del mare stesso e gli eventi meteorologici estremi potrebbero danneggiare i luoghi di nidificazione, con conseguente impossibilità per le tartarughe di deporre le uova al sicuro. I cetacei invece rischiano di non poter nutrirsi del krill, un piccolo crostaceo che attualmente al limite della propria tolleranza ecologica ed è probabile che subisca gli effetti negativi del cambiamento climatico assieme ai suoi predatori. A loro volta tonni, razze, squali ed altre specie verrebbero colpiti nelle loro catene riproduttive e alimentari con conseguenze distruttive per l’ecosistema.

DA “IL CORRIERE DELLA SERA”

A cura di M.B.

Pesca a rischio nei mari surriscaldati

Secondo uno studio pubblicato su Science, se l’aumento delle temperature continuerà ai ritmi attuali, ci sarà un calo del 20% della pescosità dei mari nei prossimi 300 anni, con picchi del 60% nel Pacifico occidentale, con effetti duraturi.

Le simulazioni degli scienziati californiani della Università di Irvine hanno preso in considerazione lo scenario peggiore, con aumento delle temperature non mitigato, con oltre 10 gradi in più sulla terra entro il 2300. Avverrebbe dunque lo scioglimento dei ghiacci completo, col mare che andrebbe a coprire una parte delle terre emerse con sconvolgimenti enormi per gli ecosistemi marini attraverso anche il cambiamento delle correnti e conseguente modifica del ciclo di distribuzione delle sostanze nutritive, ovvero del fitoplancton, che si svilupperebbe nelle profondità dell’Antartide e non altrove, a latitudini più settentrionali, dove il pesce inizierebbe decisamente a scarseggiare. In uno scenario del genere è difficile immaginare come se la caverebbe l’uomo; ed è quasi superfluo ribadire che ridurre l’inquinamento ne va della nostra sopravvivenza come specie.

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di M.B.