La Germania “ammorbidisce” il climate plan per il G20 di Amburgo

La cancelliera Merkel ospiterà ad Amburgo il G20, e nell’occasione sarà presentato un piano d’azione per il clima che ha subito delle forti modifiche dopo lo scontro tra Trump e Merkel in Marzo: la Germania infatti ha deciso di ammorbidire le condizioni stabilite precedentemente per garantire comunque un’inclusione degli USA.

Cosa è sparito dunque dalla bozza finale del climate plan per il G20?

  1. Il 2025 come limite massimo per la fine delle sovvenzioni all’industria del carbone.
  2. Riferimenti al rischio di “risorse bloccate”.
  3. Il richiamo ad adattare la pianificazione di infrastrutture e spesa pubblica agli obiettivi siglati a Parigi.
  4. La richiesta di determinare il prezzo del carbone.
  5. La richiesta di presentare un progetto entro il prossimo anno che preveda una decarbonizzazione da completare entro metà secolo.

Questi sono i punti salienti che sono stati rimossi, nello specifico tutto ciò che fa riferimento alle emissioni zero entro metà secolo e la decarbonizzazione delle infrastrutture. Si fa persino riferimento a combustibili fossili “puliti” e della transizione energetica alle rinnovabili non si fa menzione esplicita. Il linguaggio utilizzato è decisamente meno ambizioso e diretto rispetto alla versione precedente, e non sono solo gli Stati Uniti a beneficiarne. L’Arabia Saudita e la Russia beneficiano dell’omissione del riferimento alla fine delle sovvenzioni per il carbone. Risulta particolarmente inquietante la definizione di combustibili fossili “puliti”, una vera vittoria per Trump, che sostiene l’industria delle miniere di carbone nel suo paese per ragioni elettorali. La Germania continua a sostenere di voler dare un forte segnale di implementazione delle politiche a favore dell’ambiente e che il tempo delle negoziazioni sia giunto al termine..ma è veramente così? Parrebbe proprio di no, in quanto tutti gli addetti ai lavori sostengono che la persuasione e il dialogo con gli USA continua e deve continuare sul tema del clima, nonostante le dichiarazioni di Trump, poiché il vi è il rischio, escludendo gli USA una volta per tutte, che la Cina eserciti troppa influenza sull’accordo di Parigi.

A cura di M.B.

DA CLIMATE CHANGE NEWS

Dieci principi (secondo Greenpeace) per gli accordi sul commercio

Greenpeace ha stilato un elenco di dieci principi volti al riequilibrio e la ristrutturazione delle norme sul commercio e investimenti nel mondo della globalizzazione, in cui troppo spesso i governi tendono ad anteporre il commercio agli standard sociali e ambientali. Si sente ovunque il bisogno di avere un commercio trasparente e regolato, che tenga conto della sostenibilità ambientale e dei diritti umani; il commercio non deve essere uno scambio di beni fine a se stesso, ma un mezzo per centrare obiettivi sociali e ambientali, a favore delle persone e del pianeta, in un’ottica di responsabilità intergenerazionale. Ecco dunque la proposta di Greenpeace, che mira ad integrare il lavoro di norme e principi elaborati da altri settori della società:

  1. Trasparenza nelle negoziazioni
  2. Sostenibilità ambientale. Si deve seguire il principio del “chi inquina paga” per non scaricare i costi ambientali del commercio sull’intera società.
  3. Coerenza con gli accordi multilaterali ovvero agire nel rispetto di accordi presi sul fonte ambientale (quello di Parigi, quello sulla biodiversità e sulla sostenibilità ambientale).
  4. Principio di precauzione da adottare negli accordi commerciali per tutelare salute pubblica e ambiente.
  5. Migliorare gli standard ambientali e sociali degli accordi
  6. Impatto sulla produzione etichettatura, tracciabilità.
  7. Accesso giusto ed equo alla giustizia le aziende e gli investitori devono rispettare i diritti dei lavoratori, delle comunità e dell’ambiente. Non hanno diritti maggiori rispetto alle altre parti e le norme e politiche di pubblico interesse sono escluse dalle controversie sulla protezione degli investimenti.
  8. Cooperazione regolatoria gli accordi commerciali devono armonizzarsi agli standard sociali e ambientali. Non devono essere considerati una barriera ma una condizione necessaria.
  9. Protezione delle economie del Sud del mondo ovvero gli accordi e gli investimenti non possono essere imposti contro la volontà dei paesi e delle comunità; vanno tutelate la sovranità popolare, la biodiversità e le differenze culturali.
  10. Valutazione indipendente gli accordi su commercio e investimenti sono sottoposti ad una valutazione indipendente a cui prende parte anche la società civile, su impatto sociale e ambientale di essi. Gli esiti sono tempestivamente tenuti in considerazione per negoziazioni in atto o rinegoziazioni in programma.

A cura di M.B.

DA GREENPEACE

Incontro tra premier indiano Modi e Trump: nessuna parola sul clima

Nonostante il dibattito acceso intercorso tra India e Stati Uniti negli ultimi tempi a seguito dell’adesione all’accordo di Parigi dell’uno e del ritiro dell’altro, nell’ultimo incontro avvenuto a giugno tra il presidente indiano Modi e il presidente Trump, non è stato fatto il minimo cenno al problema del mutamento climatico. Di recente Trump si era scagliato contro l’India accusando il paese di aver firmato l’accordo di Parigi al solo fine di ricevere svariati milioni di aiuti da parte dei paesi più sviluppati; al che il ministro degli affari esteri Swaraj aveva risposto indignato che l’accordo di Parigi non era stato firmato per avidità ma per il nobile scopo di proteggere l’ambiente.

Tuttavia all’incontro tra i due capi di stato non ci sono state dichiarazioni pubbliche sul clima: segno di disaccordo o di apatia? Manish Bapna, vice presidente del World Resources Institute propende per il primo. Ma, dati alla mano, cosa sta veramente accadendo in India sul fronte delle rinnovabili?La settimana scorsa la Coal India, una delle più grandi aziende che gestiscono miniere di carbone, ha annunciato la chiusura di ben 37 miniere entro marzo prossimo. Secondo l’Institute for Energy Economics and Financial Analysis, è un netto segnale della transizione alle rinnovabili in atto, favorita dalla diminuzione dei prezzi nel solare; l’India è infatti il terzo paese per produzione di energia solare al mondo. D’altro canto l’India, insieme alla Cina, è tra i paesi che si sono posti gli obiettivi più ambiziosi nell’accordo di Parigi, ovvero di diminuire le emissioni nocive del 33 % entro il 2030. Nonostante tutto ciò, che farebbe ben sperare, l’industria delle miniere di carbone si è espansa del 4 % nei primi mesi del 2017 e resta da vedere se è un aumento temporaneo o una preoccupante inversione di marcia.

A cura di M.B.

DA SITO INSIDE CLIMATE NEWS

Se l’America si ritira dall’accordo di Parigi

Il trattato di Parigi, firmato nel 2015 da 195 paesi per contrastare il riscaldamento globale e dunque il cambiamento climatico, ha alle spalle una lunga elaborazione e lunghi anni di ricerca di convergenze tra i vari paesi sul tema, a partire dal protocollo di Kyoto del 1997, primo impegno sulla questione. Il cambiamento climatico avvenuto nel corso del XX secolo e che continua tutt’oggi a ritmi sempre più incalzanti, è un fenomeno accertato e principalmente di natura antropica. La temperatura nel corso dell’ultimo secolo è aumentata di tre quarti di grado e il timore tra la comunità scientifica è che il fenomeno nel XXI secolo possa aggravarsi, con un aumento non più di frazioni di grado ma di gradi tondi, cosa che renderebbe il nostro pianeta irriconoscibile verso fine secolo. Non bisogna sottovalutare la forza inerziale con cui continua e si velocizza il cambiamento climatico, che solo immani sforzi collettivi da parte dell’essere umano possono sperare anche solo di rallentare o contenere. L’effetto serra è il motore di questo riscaldamento globale, che avanza con rapidità come mai in passato, a causa dell’uomo e del suo utilizzo massiccio di carboni fossili. La maggior parte della comunità scientifica è concorde sulla natura antropica del cambiamento climatico negli ultimi 50 anni ca., mentre un’altra parte, più esigua, è convinta che il riscaldamento globale sarebbe avvenuto in ogni caso, a prescindere dall’operato umano. L’amministrazione del presidente Trump sembra fare leva non tanto su motivazioni scientifiche per negare il cambiamento climatico, quanto su interessi elettorali legati alla costosa conversione dell’industria americana in un’industria verde e sostenibile. Se Trump deciderà di ritirarsi dall’accordo di Parigi, gli scenari possibili sono due: il paese potrebbe, a prescindere dalla decisione presa dal presidente, continuare la lotta all’effetto serra, tuttavia se il paese si allineasse alla politica di Trump, molti altri (forse fatta eccezione per quelli europei) si ritirerebbero dall’accordo e ogni sforzo per raggiungere gli obiettivi del 2050 sarebbe vanificato.

DA “LA STAMPA”

A cura di M.B.

Tiffany e il cambiamento climatico

Che la posizione del presidente americano Trump sul cambiamento climatico abbia suscitato disapprovazione e sconforto nell’ambiente scientifico e politico è cosa nota, ma oggi si aggiunge al coro perfino una nota casa di produzione di gioielli: Tiffany. La direzione del brand si è rivolta, attraverso una lettera sul New York Times, direttamente al presidente, chiedendogli di non cancellare l’impegno americano sull’Accordo di Parigi, in quanto il cambiamento climatico è una minaccia molto concreta per il pianeta e le future generazioni. Tiffany, un’azienda rinomata in tutto il mondo, è oggi impegnata in una produzione ecologicamente sostenibile e, sorprendentemente, ha deciso di prendere pubblicamente una posizione decisa contro il negazionismo climatico di Trump.

DA “ELLE.IT”

A cura di M.B.