Allarme meduse sulle coste italiane

Dall’Istituto di Scienze Marine del Cnr di Foggia arriva l’allarme sulle meduse nelle acque nostrane: in 10 anni sono aumentati gli avvistamenti di meduse di ben 10 volte. Passano attraverso il Canale di Suez, queste specie tropicali, e ormai hanno fatto dei mari italiani la loro casa, grazie alle acque sempre più surriscaldate. Il problema sta nel fatto che a differenza delle specie tradizionalmente presenti nei nostri mari, che tutt’al più “pungono”, le specie tropicali sono pericolose e possono anche provocare la morte. La cosiddetta “Caravella portoghese” e la “Medusa nomade” sono due specie tropicali avvistate tra Sicilia, Calabria e Sardegna e sono entrambe velenosissime.

DA “IL CORRIERE DELLA SERA”

A cura di M.B.

L’innalzamento dei mari? Per i repubblicani americani e’ colpa della caduta dei massi

Il livello del dibattito sul cambiamento climatico in America si sta abbassando sempre di più: ad un’audizione davanti alla commissione Spazio, scienza e tecnologia del Congresso, un ricercatore, Phil Duffy, si è sentito rivolgere la seguente affermazione da parte di Mo Brooks, un parlamentare repubblicano: l’innalzamento del livello dei mari non sarebbe dovuto al surriscaldamento che causa lo scioglimento dei ghiacci, bensì alle pietre trasportate dai fiumi e dall’erosione delle scogliere. Secondo il pensiero a dir poco assurdo del parlamentare, i sassi obbligherebbero le acque a risalire, causando l’innalzamento documentato negli ultimi decenni. Il ricercatore ha educatamente cercato di spiegare al parlamentare come scientificamente tutto ciò non possa incidere nell’arco di pochi decenni. Purtroppo il suo interlocutore pare non abbia recepito, e abbia continuato imperterrito ad esporre le ragioni del negazionismo climatico non con dati scientifici ma attraverso aneddoti improbabili e opinioni personali discutibili.

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di M.B.

Uccelli migratori minacciati dal surriscaldamento globale

La popolazione di uccelli migratori sta inesorabilmente diminuendo a causa della distruzione degli habitat, del surriscaldamento che porta a sfavorevoli modifiche di quest’ultimo e della caccia indiscriminata. Il 40% delle specie sono a rischio e ben 200 specie sono passate in pochi anni allo status di “globalmente minacciate”. Numerose specie di volatili, tra cui le nostre amate rondini, non sopravvivono più alla migrazione dall’Africa all’Europa, in quanto il cambiamento climatico sta facendo espandere l’area del deserto sahariano verso sud, dunque il dispendio di energie è sempre maggiore per il viaggio e molti esemplari non ce la fanno. Questa ecatombe va fermata con una maggiore sensibilizzazione nei confronti di queste creature capaci di collegare tra loro ecosistemi tra i più diversi. Purtroppo molto di ciò che è stato fatto è irreversibile e continuiamo imperterriti ad occupare prepotentemente il posto che spetta anche alle altre forme di vita.

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di M.B.

Allarme ONU: Nel 2050 il 66% della popolazione mondiale vivrà in città

Il rapporto annuale ONU sulla popolazione mondiale ha sottolineato un problema del prossimo futuro: un sovraffollamento delle grandi città entro il 2050, che rischierebbero così il collasso. La popolazione rurale entro quella data si sarà trasferita quasi completamente nelle grandi città secondo lo studio; sarà il massimo picco di crescita della popolazione. Le megalopoli sono destinate ad aumentare in numero e quasi tutte quelle dei paesi asiatici, con Cina e soprattutto India in testa, saranno talmente popolate da essere pressoché invivibili. Si estenderanno fino ad oltre un terzo in più della loro attuale dimensione. Solo alcune città dell’est Europa manterranno una costante parabola discendente della popolazione, iniziata mezzo secolo fa.

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di M.B.

Aree protette: un terzo a rischio per l’azione umana

Uno studio pubblicato sulla rivista Science rivela come le aree protette su carta siano in realtà sottoposte a forti pressioni a causa dell’intervento umano. Le aree tutelate formalmente rischiano di perdere la loro biodiversità per prossimità ad autostrade, allevamenti intensivi ed aree urbanizzate; come al solito è difficile mantenere oasi incontaminate a fronte di un mondo fortemente antropizzato. Il 15% della nostra Terra è formalmente sottoposto a vari livelli di tutela, che in ogni caso (sia nei casi più restrittivi che quelli più morbidi), significa la salvaguardia degli ecosistemi e della biodiversità originaria di un luogo. Ma qual è la verità dietro alle carte? Gli scienziati hanno esaminato la Human Footprint, la nostra vera impronta su queste aree. Hanno tenuto in conto di infrastrutture, centri abitati, costruzioni, allevamenti e corsi d’acqua sfruttati. Gli autori del paper sono arrivati alla conclusione che l’essere umano sta esercitando una pressione deleteria su ben il 32,8% delle aree protette (per capirci l’estensione è pari ai due terzi della Cina). Quelle che se la cavano meglio sono le aree protette in luoghi remoti, mentre quelle che si trovano in Asia, Europa ed Africa sono più a rischio per la prossimità dell’essere umano. Esempi virtuosi di gestione delle aree tutelate si trovano ad esempio in Cambogia, Bolivia ed Ecuador; è inoltre documentato che dove le regole sulla biodiversità sono più stringenti le cose funzionano meglio. Certo non si può prescindere anche da buoni finanziamenti ed è per questo che i ricercatori ed esperti devono farsi sentire maggiormente dai governi, perché anche dove le cose vanno peggio, c’è ancora speranza.

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di M.B.