Un miliardo di rifugiati climatici entro il 2050

Il rapporto Lancet Countdown ha stimato un miliardo di rifugiati climatici entro il 2050; dato sconvolgente che ci ricorda come tanti migranti facciano parte della categoria di coloro che fuggono da un clima che ormai ha reso pressoché invivibili i loro paesi. Tifoni, alluvioni e carestie hanno messo in ginocchio popolazioni con un’ampia maggioranza di individui che vivono sotto la soglia della povertà in Africa e Asia ma anche in Oceania, dove le Fiji sono ormai sotto la minaccia di inabissamento. Non sono solo Ong e ambientalisti ad affrontare queste tematiche ma anche esperti delle forze armate e della sicurezza di paesi come gli USA; se la situazione dovesse peggiorare (e questa è purtroppo la tendenza) si potrebbero avere 10-20 milioni di rifugiati climatici nei prossimi anni, provenienti prevalentemente dall’Africa, che provocherebbero tensioni economiche e sociali inimmaginabili. Se pensiamo che la situazione di oggi sia difficile ci sbagliamo di grosso. Le conseguenze si vedranno anche sul piano della salute: le ondate di calore e l’inquinamento oltre alle nuove malattie tropicali veicolate dalle zanzare contribuiranno al peggioramento della salute generale. Per sperare in un futuro meno cupo bisogna partire immediatamente con serie politiche di decarbonizzazione e spendendo in misure di adattamento e mitigazione dove non si può fare in altro modo. Si discuterà a Bonn, dove si svolgerà COP23, anche di una sorta di polizza globale contro il cambiamento climatico e soprattutto le sue catastrofi, per impedire a chi le subisce di essere costretto ad emigrare.

DA “LA STAMPA”

A cura di M.B.

Casa Bianca: OK al rapporto che vede cambiamento climatico causato dall’uomo

Un rapporto scientifico redatto da 13 agenzie federali USA afferma che la Terra sta vivendo uno dei periodi più caldi mai registrati e che le attività umane siano responsabili dell’aumento della temperatura nel Ventesimo secolo. Questo rapporto ha ricevuto a sorpresa l’ok della Casa Bianca e presto sarà pubblicato; il rapporto contraddice completamente le tesi finora sostenute dall’amministrazione Trump, che ha smantellato le politiche verdi di Obama, promuove il ritorno all’utilizzo del carbone e nega ostinatamente il ruolo dell’uomo nel cambiamento climatico. Il rapporto osserva come negli ultimi 115 anni la temperatura media globale sia aumentata di un grado Celsius e che quest’aumento brusco è dovuto alle attività umane, specialmente dalla seconda metà del Ventesimo secolo in poi. Contiene anche dettagliate analisi sull’aumento del livello dei mari, che entro il 2100 potrebbe innalzarsi di 30 cm e fino a 2,4 m (nell’ipotesi peggiore).

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di M.B.

Piano clima: risorse e priorità

Il Piano Nazionale di Adattamento ai cambiamenti climatici elaborato dal ministero dell’Ambiente ha già scaturito delle reazioni, come quella di Legambiente, che ha già stilato una lista di problemi e criticità sul contenuto del documento. Come al solito la questione principale è la concretezza e la praticità delle soluzioni che mancano, oltre all’assenza di priorità da rispettare. Dopo tre lunghi anni di elaborazione di un Piano e una Strategia (SEN) per il clima, si rischia comunque di non vedere realizzati gli obiettivi in quanto i documenti risultano poco chiari sul fronte delle risorse da impiegare per la prevenzione del dissesto idrogeologico, l’informazione da fornire agli abitanti dei territori più a rischio e sul fronte delle priorità di intervento per mettere in sicurezza aree critiche. Il cambiamento climatico sta imponendo una sfida all’Italia, che deve ripartire dalla riqualificazione delle aree urbane degradate e interessate da abusi edilizi, dalla gestione delle acque e dalla prevenzione in caso di eventi atmosferici estremi e ondate di calore.

Purtroppo ancora non si vede nei documenti una connessione concreta e consapevole tra cambiamento climatico e politiche ambientali, e di conseguenza si rischiano pesanti ritardi nell’affrontare problematiche che richiedono interventi immediati, per salvaguardare la nostra vita, la nostra salute e il nostro meraviglioso territorio che ci dà da vivere. Gli impatti sanitari avranno un ruolo di primo piano nel cambiamento climatico e per questo motivo si dovrebbero organizzare monitoraggi epidemiologici su vasta scala, che non sono ancora previsti. Inoltre per fronteggiare il dissesto idrogeologico nelle nostre città è necessario lasciare da parte ulteriori dannose opere ingegneristiche e colate di cemento, per lasciare spazio di nuovo a boschi, parchi ed aree verdi, in grado di attutire molto meglio l’impatto di alluvioni, mareggiate ed esondazioni.

Troppo poca attenzione è data alle spiagge e le loro infrastrutture inadeguate a fronteggiare il cambiamento climatico, oltre che agli ecosistemi più fragili del nostro paese.

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di M.B.

UNEP: stiamo fallendo obiettivi climatici

A Bonn l’UNEP si fa sentire con un monito a non sottovalutare il fattore tempo negli obiettivi cliamtici: la CO2 continua a crescere, eventi atmosferici estremi diventano sempre più frequenti, intere aree del pianeta stanno diventando inospitali e i governi stanno dando ancora troppo spazio ai combustibili fossili. Se il divario che ci separa dagli obiettivi non sarà colmato entro il 2030 attraverso le tecnologie innovative (su cui bisogna investire in modo massiccio), è estremamente improbabile che gli accordi di Parigi vengano rispettati. L’alt alla deforestazione e la riqualificazione verde nell’edilizia sono ancora tasti dolenti perché non messi in atto, la riduzione del consumo di carne e la riduzione delle emissioni causate dalla filiera dell’agricoltura sono parimenti ad uno stallo. E pensare che se tutte le superfici dovessero essere messe a coltura biologica, le emissioni si ridurrebbero del 23% in Europa e del 36% negli USA.

Gli obiettivi da attuare subito sono i seguenti: chiudere le centrali a carbone e introdurre una forma di carbon tax, sostiene Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile, e concentrarsi sulla riduzione delle emissioni in aree urbane attraverso mobilità green e riqualificazione edilizia.

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di M.B.

Taranto soffocata dalle polveri dell’Ilva

Le polveri velenose del parco minerale dell’acciaieria Ilva stanno soffocando la popolazione di Taranto, causando malattie e morti premature, tuttavia i governi da Monti a Gentiloni hanno posticipato la copertura del “parco” (normalmente nel resto d’Europa i parchi del genere sono sigillati, a Taranto all’aperto) al 2023 (è una procedura costosa), sancito l’insequestrabilità dello stabilimento per salvare l’acciaio italiano e infine assicurato l’impunità penale per i dirigenti dell’Ilva fino al completamento dell’Autorizzazione Integrata Ambientale. La gente del quartiere che sorge a duecentocinquanta metri dallo stabilimento è stata obbligata a restare a casa per ben tre giorni a causa del vento che ha generato turbini di polvere d’altoforno inquinata da metalli pesanti, facendo schizzare le Pm10 dal limite di 50 migrogrammi per metro cubo di aria a ben 200. I bambini non hanno potuto nemmeno andare a scuola; tuttavia il sindaco fa notare che anche in giorni “normali” i piccoli respirano le polveri nocive, e molti sono stati ricoverati nell’ospedale che si è dotato di un medico specializzato in oncologia pediatrica solo grazie ad una petizione dei cittadini. Questi ultimi si sentono soli e indifesi di fronte ad uno stato che anziché punire i responsabili di tale disastro e mettere in sicurezza la popolazione, si gira dall’altra parte pur di proteggere alti interessi. Sono molti i morti negli anni per neoplasia polmonare, tante malattie e morti precoci che si traducono in sofferenze infinite per le famiglie.

Il sindaco ha intenzione di dar battaglia ai decreti del governo su due fronti: impugnando al Tar il Dpcm con cui il governo ha fissato i paletti del piano ambientale per l’Ilva e ricorrendo in sede europea per l’infrazione alle norme comuni attuata dall’Italia nel non coprire il parco dell’acciaieria.

DA “LA STAMPA”

A cura di M.B.