L’innalzamento dei mari porterà l’aumento dei parassiti

L’innalzamento del livello del mare, conseguenza diretta del riscaldamento globale che porta allo scioglimento dei ghiacci, potrebbe portare alla proliferazione di parassiti infestanti pericolosi per l’ecosistema marino ma anche per mammiferi e uccelli secondo uno studio di ricercatori provenienti dalle università di Bologna, Missouri e Florida e pubblicato su Scientific Reports.

A cura di M.B.

DA “IL METEO”

Siccità: 10 regioni chiedono lo stato di emergenza e aiuti alle aziende

Secondo Coldiretti, 2/3 dell’Italia e delle coltivazioni sono a secco a causa della mancanza di precipitazioni e di approvvigionamento idrico (il bacino del Garda è pieno solo per 1/3) con danni per 2 miliardi. Almeno 10 amministrazioni regionali hanno condotto verifiche per richiedere lo stato di calamità al Ministero delle Politiche Agricole, per attingere al Fondo di solidarietà nazionale. Se lo stato di emergenza fosse confermato, le aziende vedrebbero la sospensione del pagamento del mutuo e dei contributi e l’accesso a un fondo per ristoro danni.

A cura di M.B.

DA “LA REPUBBLICA”

L’emergenza idrica a Roma

A Roma 1,5 milioni di cittadini rischiano di ricevere l’acqua dai loro rubinetti a singhiozzo; infatti il governatore del Lazio Zingaretti ha lanciato l’allarme sulla catastrofe ambientale che si sta consumando sul lago di Bracciano, il cui livello è diminuito drasticamente. In un rimpallo di responsabilità dialogano Acea, Zingaretti e Raggi, ma i romani rischiano seriamente, entro pochi giorni, di vedersi razionare l’acqua.

A cura di M.B.

DA “LA STAMPA”

In cinque secoli i grandi carnivori hanno perso fino al 90% del territorio di caccia

In 500 anni l’uomo, con l’agricoltura e i suoi insediamenti urbani, ha sottratto il territorio di caccia a grandi carnivori come tigri, leoni e lupi, tanto da minacciarne seriamente la sopravvivenza. Due ricercatori dell’università dell’Oregon hanno pubblicato una ricerca sulla Royal Society Open Science in cui si confronta l’areale dei grandi carnivori (di più di 15 kg) nel 1500 con l’areale odierno studiato dall’IUCN. Questo studio, incentrato sull’habitat, ha messo in luce come i grandi carnivori ormai abitino solo un terzo del territorio che occupavano secoli fa; la tigre ha addirittura perso il 95 % del suo territorio di caccia. In questo senso risultano più penalizzate le specie che abitano il sud-est asiatico (densamente popolato), mentre la zona artica e della tundra, essendo prevalentemente sgombra di insediamenti, è ancora un luogo di caccia ideale per le specie locali. Le specie prese in considerazione sono 25, di cui 15 (ovvero il 60%) hanno perso più di metà delle loro zone di caccia tradizionali. Nonostante il quadro scoraggiante, in alcune zone anche densamente abitate permane la presenza di queste specie: in India resistono i leopardi e le iene, mentre in Europa e Nord America le politiche di reintroduzione hanno fatto la differenza per i lupi, ad esempio. L’essere umano dovrà abituarsi di nuovo a condividere il territorio con gli animali, senza più distruggerlo mettendo a repentaglio la loro esistenza, bensì trovando nuove modalità di convivenza e implementando la presenza di aree protette e parchi.

A cura di M.B.

DA “LA REPUBBLICA”

Ripartono le trivelle dell’Eni nell’Artico

l presidente americano Donald Trump aveva promesso che le trivellazioni petrolifere nell’Artico sarebbero ricominciate, ed infatti il Bureau of Ocean Energy Management (Boem) ha dato il via libera all’Eni per la trivellazione di quattro pozzi in Alaska, nel mare di Beaufort, a scopo di esplorazione. Le trivelle lavoreranno da dicembre al 2019, solamente in inverno, formalmente per non disturbare la fauna locale. L’anno scorso, prima di lasciare la Casa Bianca, Obama aveva vietato l’estrazione di idrocarburi ma non all’Eni, che ha un pozzo attivo dal 2011. Trump, appena arrivato alla Casa Bianca, si è premurato di far ripartire le trivellazioni, fino all’accettazione della richiesta di Eni di trivellare nel mare di Beaufort, nonostante le denunce degli ambientalisti. Dal punto di vista ambientale è infatti estremamente rischioso trivellare nell’Artico, in quanto perdite di greggio e incidenti possono essere difficili da affrontare nella notte artica e di queste disavventure ne sa qualcosa la Royal Dutch Shell, che ha gettato la spugna nel 2015 dopo vari disastri, oltre a prospezioni deludenti. L’Eni lavorerà vicino alla costa a Spy Island, ma sono già sul piede di guerra le associazioni in difesa dell’ambiente come il Center for Biological Diversity, il cui avvocato Kristen Monsell ha sottolineato come una perdita di greggio creerebbe danni irreparabili e come l’azienda italiana usufruirà di concessioni scadute nel 2017. L’Eni ha dalla sua l’esperienza su una piattaforma in Norvegia ad una latitudine altrettanto estrema e il fatto che Spy Island sia molto vicina alla terraferma e in collegamento con un oleodotto esistente da anni; ma il vero appoggio non è dato tanto l’esperienza che ridurrebbe teoricamente i problemi logistici, quanto dalla nuova politica americana e del Boem.

A cura di M.B.

DA “LA REPUBBLICA”