Milano: aria irrespirabile per il biossido di azoto

I milanesi dell’associazione Cittadini per l’Aria, che si occupa di temi ambientali, hanno studiato la quantità di biossido di azoto presente nella loro città come dei veri ricercatori: hanno posto delle fiale per la misurazione dei livelli di biossido presso le loro abitazioni, il posto di lavoro e le scuole dei loro bambini. Il risultato è impressionante: a livello mensile, il 96 % delle fiale ha rilevato una presenza di biossido di azoto ben oltre i limiti di legge (40 milligrammi per metro cubo su base annua). La zona più salubre è risultata Niguarda, mentre Certosa è risultata la più dannosa per la salute (rispettivamente 24 e 89 milligrammi per metro cubo). Il 46 % dei rilevatori ha riscontrato tra i 50 e i 60 milligrammi, mentre il 29 % dei rilevatori ha riscontrato oltre i 60 milligrammi. Viale Bodio, viale Certosa, viale Majno e viale Porpora superano gli 80 milligrammi. In base ai dati ottenuti su scala mensile è inoltre stata fatta una stima delle concentrazioni annue di biossido di azoto, col risultato che l’84 % delle zone campionate superano il livello consentito e solo 35 campioni su 219 rivelano una concentrazione inferiore a 40 milligrammi per metro cubo all’anno.

La presidente dell’associazione, Anna Gerometta, è convinta che sia ora di dare ai milanesi la possibilità di vivere in una città salubre, cambiando il sistema dei trasporti ed introducendo progressivamente delle restrizioni e tariffe per l’entrata dei veicoli diesel (oggi il 50 % di quelli circolanti in città), che emettono quantità di biossido di azoto 4-5 volte il limite consentito. Ne va della salute dei cittadini, soprattutto le fasce più deboli come anziani e bambini, oltre alle persone che presentano patologie respiratorie.

DA “LA STAMPA”

A cura di M.B.

 

Muschi al posto dei ghiacci in Antartide

Un ulteriore segnale del riscaldamento globale fuori controllo è la crescita di specie vegetali in luoghi che, fino a poco tempo fa, sarebbero stati per loro inospitali, ed un esempio è la crescita del muschio in Antartide, che si giova della temperatura sempre meno rigida. I dati provengono da uno studio svolto dalla Exeter University e pubblicata su Current Biology: la ricerca, che si basa su informazioni degli ultimi 150 anni, afferma come in soli 60 anni (dal 1950) ci siano stati significativi cambiamenti nella distribuzione del muschio a causa dell’aumento delle temperature (che risulta oggi nelle aree polari di circa 2,5 gradi rispetto all’era preindustriale). Mutamenti non solo nelle temperature ma anche nel regime dei venti e delle precipitazioni, hanno concorso a modificare il paesaggio stesso dell’Antartide, sempre più priva di ghiacci e sempre più soggetta all’alterazione dei suoi equilibri biologici. Se non si agisce in fretta per contenere e rallentare il riscaldamento globale, si potrebbe andare incontro ad una disintegrazione totale dei ghiacci dell’Antartide, che vorrebbe dire l’innalzamento del livello dei mari di circa 5 metri.

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di M.B.

L’invasione aliena del Mediterraneo

Nel Mediterraneo è in atto una vera e propria invasione di specie aliene provenienti da aree tropicali e subtropicali dell’Oceano Pacifico e Indiano a causa del riscaldamento globale; il fenomeno, da tempo monitorato dall’Ispra, ha subito un’accelerazione netta negli ultimi dieci anni e le specie alloctone nei nostri mari si stanno diffondendo sempre di più. Ecco dunque spuntare in Sicilia il velenosissimo pesce scorpione, il pesce palla maculato e l’alga tossica ostreopsis ovata (solo per fare alcuni esempi di specie particolarmente dannose), tra le 750 specie alloctone avvistate in tutto nei nostri mari, che hanno viaggiato fin qui dallo Stretto di Gibilterra oppure dal Mar Rosso. Esse si mettono spesso in diretta competizione con le specie di pesci e crostacei locali, che vengono sterminati oppure costretti a spostarsi a latitudini più fredde.

DA “LA STAMPA”

A cura di M.B.

Pacifico: 38 milioni di pezzi di plastica

La paradisiaca Henderson Island, patrimonio dell’Unesco dal 1988 e situata a sud del Pacifico tra Fiji, Isola di Pasqua e Galapagos, sta per essere sommersa del tutto dai rifiuti di plastica; abbiamo permesso che la nostra immondizia coprisse per il 99,8 % questa meraviglia precedentemente incontaminata. Gli scienziati dell’Università della Tasmania e della Royal Society inglese, sbarcati sull’isola hanno constatato lo scempio causato da ben 18 tonnellate di plastica a contaminare l’isola, un disastro di anni di incuria. L’isola dell’arcipelago Pitcairn sembrava il luogo più improbabile dove trovare immondizia, tuttavia per una questione di correnti 3750 nuovi pezzi di plastica al giorno approdano sull’isola, un ritmo spaventoso e di gran lunga superiore ad altri luoghi del pianeta. Inoltre il 68 % dei rifiuti è radicato in profondità sull’isola e ogni metro quadrato presenta circa 20 pezzi in superficie e dai 50 ai 4500 a 10 cm di profondità. Gli animali di quest’isola convivono con i nostri rifiuti tossici, e dire che vi sono specie endemiche protette, sia per ciò che riguarda la flora che per la fauna. Dobbiamo tutti considerarci responsabili di questa vergogna ed intervenire al più presto per ripulire l’isola e fare in modo che i nostri rifiuti non vengano mai più buttati ad inquinare i mari.

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di M.B.

 

Acque contaminate: il Veneto indaga

Il Consiglio Regionale del Veneto ha raccolto il grido di allarme di cittadini e Greenpeace, istituendo una Commissione d’Inchiesta per le acque inquinate da PFAS in Veneto. L’allarme riguarda secondo Greenpeace circa 800.000 abitanti delle provincie di Verona, Vicenza, Padova e Rovigo. Le sostanze perfluoroalchiliche sono utilizzate in numerosi prodotti industriali ed hanno un’elevata persistenza nell’ambiente, motivo per il quale possono essere ingerite dall’uomo in forma di acqua proveniente dai rubinetti oppure in alimenti. Analisi condotte sulle acque potabili di scuole e fontane pubbliche in Veneto hanno dato risultati, nelle quattro provincie interessate (ma non solo), molto superiori al livello consentito di PFAS in Svezia e Stati Uniti ad esempio. In Veneto, secondo Greenpeace, non sono ancora state prese contromisure adeguate per affrontare la situazione e mettere in sicurezza ambiente e cittadini, in quanto la regione in quattro anni dalla scoperta della presenza elevata di PFAS, non ha ancora eradicato il problema intervenendo alla fonte della contaminazione, ovvero gli sversamenti delle industrie delle sostanze bioaccumulabili.

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di M.B.