Italia e accordo di Parigi sul clima

L’accordo sul clima siglato a Parigi nel 2015 coinvolge più di 170 paesi con il comune obiettivo di mantenere la crescita della temperatura globale sotto i 2 gradi. L’Italia si è fissata l’obiettivo di dimezzare le emissioni di gas serra entro il 2050 rispetto ai valori del 1990, portare le fonti rinnovabili al 35 % dei consumi energetici (attualmente siamo al 17,3 %) e al 66 % i consumi elettrici (oggi al 38 %). Tuttavia il 2015 è denso di segnali negativi: le emissioni di gas serra salite del 2,5 %, produzione di elettricità da fonti rinnovabili dal 43 al 38 %. L’Italia sembra così condannata a fallire l’obiettivo di Parigi, ma non riuscirebbe nemmeno a soddisfare i target europei (27 % elettricità da rinnovabili entro il 2030) e quelli della strategia energetica nazionale (19-20 % di rinnovabili al 2020). L’Italia scade nella sua performance mentre un cauto ottimismo può essere rilevato a livello globale (gas serra sostanzialmente stabilizzati nel 2014-2015). La rivista Nature però calcola che un terzo delle riserve di petrolio, metà delle riserve di gas e l’80 % delle riserve di carbone dovrebbero restare sottoterra per evitare che l’aumento della temperatura superi i due gradi. Tutti, compreso il nostro paese, dovrebbero raggiungere l’obiettivo di tagliare le emissioni serra dell’85 % entro il 2050 e azzerarle nel 2070. A livello nazionale occorre muoversi subito per cogliere le occasioni di nuovi investimenti, nuova occupazione e sviluppo della green economy, riformare la fiscalità in chiave ecologica introducendo una carbon tax, spingere sull’efficienza energetica, sviluppare la mobilità sostenibile, promuovere lo sviluppo dell’economia circolare e sostenere il ruolo dell’agricoltura nella lotta al cambiamento climatico, solo per fare alcuni esempi.

A cura M.B.

DA “LA REPUBBLICA”

L’invasione delle specie aliene

Le acque dolci e i mari della nostra penisola stanno subendo una vera e propria invasione da parte di specie vegetali e animali alloctone, sia unicellulari che multicellulari; finora ne sono state individuate 186, tra cui 55 vegetali e 131 animali. Ciò che preoccupa è che tra esse vi sono alghe tossiche e protozoi, responsabili di numerose patologie a danno degli esseri umani e a danno delle specie autoctone che rischiano l’estinzione. Dal 1970 al 2015 è stato riscontrato nel Mediterraneo un raddoppiamento delle specie alloctone; esse arrivano in Italia nei modi e per i motivi più diversi, ma spesso sfuggono al controllo dell’essere umano. Le specie vengono introdotte come animali da compagnia, come lo scoiattolo grigio americano, che entra in competizione con l’autoctono scoiattolo rosso fino a provocarne l’estinzione in alcune aree e danneggia alberi come il nocciolo e il pioppo, tanto da muovere l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale a pianificare un’eradicazione di questa specie dall’Umbria. Vengono introdotte per tentativi di commercializzazione, come l’aragosta americana, l’astice e il gambero rosso della Louisiana, ma puntualmente sfuggono al controllo degli allevamenti e finiscono per mettersi in competizione (spesso avendo la meglio) con le specie autoctone, grazie alla loro robustezza. Via cielo invece giungono gli insetti come la coccinella arlecchino, la zanzara tigre e il calabrone asiatico, oltre al punteruolo rosso della palma e la xylella fastidiosa, vere e proprie pesti per il nostro ecosistema e la nostra salute. Le acque di zavorra delle navi mercantili infine sono state di recente fatte oggetto di studio da parte del progetto BALMAS, finanziato dall’UE e a cui hanno partecipato tutti i paesi che si affacciano sul mar Adriatico (tranne la Grecia).

 

L’oggetto di studio sono le tonnellate di acqua marina spostate nei mari di tutto il mondo (10 solo nell’Adriatico) e la potenziale presenza in esse di specie tossiche e patogeni. Il monitoraggio è avvenuto nei maggiori porti dell’Adriatico, ed è già emerso che a Trieste sono presenti diatomee tossiche giapponesi, crostacei tropicali e molluschi siberiani, oltre a vermetti del Sudafrica, arrivi indesiderati e nocivi. L’Italia, insieme a Slovenia e Croazia, non ha ancora aderito al protocollo dell’Organizzazione marittima internazionale dell’Onu che impone lo scarico delle acque di zavorra dove il mare è profondo almeno 200 m (si scarica nell’Adriatico ad appena 70 m), ma dovrebbe farlo molto presto per evitare scompensi nel nostro ecosistema e danni all’essere umano.

A cura di M.B.

DA “LA REPUBBLICA”

 

Lo scioglimento dei ghiacci in Groenlandia

In Groenlandia, il Danish Meteorological Institute ha osservato un fenomeno di scioglimento del ghiaccio da record: in un solo giorno il 12 % della calotta glaciale dell’isola ha perso un mm di ghiaccio. Lo studioso Martin Stendel spiega come ciò sia da imputare alle basse pressioni ad ovest e ad est della Groenlandia, che formano una cappa di calore sull’intero paese. Le temperature anomale per il mese di aprile, con punte di 17 gradi, hanno anticipato lo scioglimento che di solito avviene tra giugno e settembre.

A cura di M.B.

DA “LA REPUBBLICA”

Gennaio e Febbraio da record di caldo

Il WMO, ovvero l’Organizzazione meteorologica mondiale delle Nazioni Unite, ha constatato che il 2015 è l’anno più caldo dal 1880, ovvero da quando sono disponibili dati sulle temperature globali. D’altro canto basta osservarne gli effetti per capirne la portata straordinaria: precipitazioni eccezionali e catastrofiche, siccità e grande attività dei cicloni tropicali. Il cambiamento climatico bussa alla nostra porta con sempre crescente insistenza, battendo sempre nuovi record negativi (temperature elevate a gennaio e febbraio, ghiacciai che si sciolgono a velocità allarmante) e le misure adottate dai governi finora potrebbero non essere sufficienti ad evitare un aumento della temperatura fino a tre gradi (la soglia critica è fissata a due). Servono misure urgenti per tagliare le emissioni di anidride carbonica e implementare l’accordo di Parigi, altrimenti oltrepasseremo il punto di non ritorno.

A cura di M.B.

DA “IL CORRIERE”

Lo sbiancamento della barriera corallina australiana

L’ammiratissima Grande Barriera Corallina, una delle meraviglie del nostro pianeta, sta perdendo i suoi vivaci colori, sta subendo un fenomeno di sbiancamento di massa dei coralli, il più grave in vent’anni di ripetute situazioni di criticità. Gli scienziati australiani lanciano l’allarme e puntano il dito contro il caldo record, a causa del quale lo sbiancamento si estende al 93 % della barriera corallina lunga 2300 chilometri. La squadra di 300 scienziati, tra cui il professor Terry Hughes dell’Arc Centre of Excellence for Coral Reef Studies, preposta al monitoraggio del fenomeno, si augura che arrivi il brutto tempo, un ciclone magari, che possa salvare la situazione. I coralli stanno subendo un deperimento che rischia di intaccare l’intero ecosistema dell’area protetta e minacciare la sopravvivenza di specie come il pesce pagliaccio. Fortunatamente l’area meridionale del reef si è temporaneamente messa al riparo dal rischio grazie ai cicloni passati recentemente nell’area sud del Pacifico, che hanno portato nuvole e pioggia. Il comitato Unesco ha già ammonito le autorità di Canberra sul rischio che l’area finisca nella lista dei siti minacciati ed esortato a ridurre drasticamente l’emissione dei gas serra, che provocano il riscaldamento globale che, insieme all’inquinamento delle acque, potrebbe distruggere per sempre un patrimonio naturalistico meraviglioso.

A cura di M.B.

DA SITO “CORALCOE”