IL SATELLITE PRISMA DELL’AGENZIA SPAZIALE ITALIANA

Il prossimo 8 Marzo spiccherà il volo dalla Guyana Francese un satellite tutto italiano per l’osservazione dallo spazio dei fenomeni geologici terrestri, ovvero lo stato delle risorse naturali, la qualità dell’aria e i livelli di inquinamento. Fornirà un’importante contributo all’osservazione delle interazioni tra biosfera, idrosfera e atmosfera, utili alla comprensione del cambiamento climatico e l’effetto su di esso causato dall’azione antropica. La missione è prevista della durata di cinque anni, in cui il satellite fornirà dati preziosi per il supporto alla gestione di rischi naturali e antropici (idrogeologici, vulcanici, indicatori di stress della vegetazione, desertificazione e inquinamento marino e terrestre). Inoltre monitorerà la gestione dello sfruttamento minerario e agricolo. Il team industriale della missione è formato da aziende italiane guidato da OHB Italia e Leonardo SpA, Divisione Sistemi Avionici e Spaziali.

DA “LA STAMPA”

A cura di M.B.

Ammoniaca motore green?

Il futuro è nella mobilità a emissioni nocive zero, ma ancora oggi il mercato delle macchine elettriche in Italia stenta a decollare (nel 2017 solo 2000 auto elettriche vendute, lo 0,1% del totale) anche a causa dei prezzi. Nell’attesa dell’avvento dell’elettrico dai costi bassi e le batterie ecologicamente smaltibili, si sperimenta ogni possibile nuova fonte energetica che possa far funzionare le nostre macchine senza inquinare l’ambiente. Il biofuel, ad oggi, rimane la più studiata alternativa (in parte carburante in parte costituito da biomasse e coltivazioni mirate), che presenta però un grande problema: sarebbe necessario abbattere aree boschive e aree di agricoltura tradizionale per far spazio alle colture per biofuel, e ciò impatterebbe negativamente sull’ambiente. Un’ulteriore alternativa ci sarebbe: l’ammoniaca, un gas in grado di essere utilizzato anche allo stato liquido grazie a minime alterazioni; se la sua molecola viene colpita da laser, i legami tra azoto e idrogeno si spezzano e l’idrogeno può fare da propulsore per i veicoli. L’emissione residua è costituita da vapori acquei, che costituiscono l’80% dell’aria. Insomma una sintesi chimica in futuro potrebbe essere la soluzione ai nostri interrogativi sui trasporti green.

DA “LA STAMPA”

A cura di M.B.

La battaglia della foresta di Hambach in Germania

Un bosco millenario da 300 ettari tra Colonia e Aquisgrana sta per essere parzialmente abbattuto dal colosso europeo dell’elettricità RWE per scavare lignite, e dopo lo scempio già operato in passato su 4 mila ettari di alberi nelle vicinanze, gli ambientalisti non ci stanno. Hanno occupato letteralmente la foresta con baracche e rifugi e si rifiutano di abbandonarli; i primi presidi risalgono addirittura al 2012, solo che all’epoca le ruspe Rwe si limitavano a “ripulire” il bosco da spazzatura e catapecchie, ora però fanno sul serio e vogliono cacciare definitivamente gli attivisti, perchè il primo di ottobre entrerà in vigore il permesso di estrazione. La polizia è persino arrivata in assetto antisommossa con idranti e camionette al seguito: una sorta di “Val Susa” tedesca. Gli ambientalisti da parte loro non cedono, si fanno incatenare agli alberi e murare nel terreno col cemento, tanto che persino un sindacato di polizia ha chiesto a RWE di non procedere almeno per quest’anno: l’obiettivo è aspettare che passi il rapporto della Commissione per la trasformazione energetica per il superamento della dipendenza dal carbone. Purtroppo si sa quanto il carbone (e in particolare la lignite) siano importanti per la Germania, anche in termini di posti di lavoro. Certo sarebbe una brutta figura e una contraddizione bella e buona se il governo dovesse far abbattere una foresta millenaria appena due mesi prima di approvare una svolta ambientalista sulle rinnovabili. Che la battaglia abbia inizio.

DA “IL CORRIERE DELLA SERA”

A cura di M.B.

Il tasso di deforestazione stabile da 17 anni

Uno studio che verrà diffuso dalla Global Forest Watch e Science Magazine ha appurato come nonostante gli sforzi delle associazioni ambientaliste e i proclami dei governi del mondo, il tasso di deforestazione dal 2001 non sia per nulla cambiato, soprattutto a causa dei commerci. I dati raccolti tengono in conto le zone colpite, le cause e la situazione delle aree dove si è verificata una deforestazione permanente; la buona notizia è che anche alcune di queste ultime, secondo gli scienziati, avrebbero una speranza di “rifiorire” come habitat di vegetali e animali. Gli obiettivi della “deforestation-zero” entro il 2020 sono decisamente lontani, specialmente a causa della deforestazione legata al commercio, sia in Amazzonia che in Africa (per il cacao, la soia e la carta ad esempio). Questo sfruttamento intensivo spesso è fonte di “alterazione permanente del paesaggio”, ed avviene anche con le attività di estrazione mineraria. Il disboscamento dovuto a incendi sarebbe invece meno grave in quanto vi sarebbe una speranza di recuperare l’area danneggiata. Selvicoltura, incendi e urbanizzazione sono fattori decisamente secondari rispetto alla deforestazione legata alle materie prime (5 milioni di ettari l’anno da 15 anni). Mentre negli anni ’90 e 2000 il disboscamento nell’Amazzonia brasiliana era di 20.000 ettari l’anno, dal 2005 è calato del 70% per poi rimanere sostanzialmente stabile; un chiaro indice di fallimento delle politiche ambientali e degli obiettivi stabiliti dalla comunità internazionale in materia.

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di M.B.

In Norvegia l’economia della pesca sostituirà quella del petrolio?

La ricchissima Norvegia, massima produttrice di gas e petrolio (20 volte più dell’Italia), ha fondato sull’estrazione di quest’ultimo il proprio welfare insuperato: il fondo sovrano norvegese, che vale 886 miliardi di dollari, paga le pensioni ai propri anziani, la scuola ai propri giovani e assicura un elevato stile di vita alla popolazione intera. Nel 2015 però gli investimenti nel settore sono calati del 23%, bruciando circa 40.000 posti di lavoro. Tuttavia i norvegesi non si sono persi d’animo e hanno deciso di puntare sulla pesca, business già fiorente, ma ora più che mai in ascesa. Nel 2016 la Norvegia ha prodotto il 54% del salmone proveniente dalle acque atlantiche e ne ha esportate 1,1 milioni di tonnellate per l’equivalente di 6,5 miliardi di euro. Il salmone, ricco di Omega 3 e dall’alto valore nutrizionale, è arrivato a costare più di un barile di petrolio. Il mercato registra un’impennata netta di richiesta di questo pesce sulle tavole di tutta Europa, tra cui l’Italia dove dal 2010 la richiesta registra un eclatante + 257%. Il salmone, una volta visto come prodotto pregiato da concedersi solo in occasioni speciali, è diventato molto più accessibile grazie anche alla moda dei ristoranti di sushi. Le importazioni dalla Norvegia costituiscono l’80% anche se è in aumento anche l’importazione dalla Cina. Marine Harvest, colosso norvegese della produzione di salmone e trota affumicata, ha in programma l’apertura di una catena di ristoranti in Cina per far scoprire al mondo asiatico la prelibatezza dei prodotti ittici norvegesi (in Cina il salmone è ancora poco diffuso come cibo). La Norvegia in sostanza sta promuovendo la moda dei ristoranti orientali in Europa vendendo al contempo i propri prodotti in Cina, Taiwan e Giappone. Sono passati decenni prima che il salmone norvegese facesse breccia nelle tavole giapponesi, in quanto vi erano radicati preconcetti verso il salmone a causa di una confusione tra quello del Pacifico (poco amato dai nipponici) e quello dell’Atlantico. La Norvegia ha dovuto inoltre fronteggiare le accuse sul metodo di approvvigionamento del salmone: gli allevamenti intensivi, l’uso di antibiotici e pesticidi. In questo la Norvegia ha fatto grandi passi avanti negli ultimi anni, promuovendo la crescita sostenibile e il rispetto per la materia prima (vaccini biologici somministrati singolarmente ai pesci per evitare l’uso di medicinali, prevenzione di “fughe” dei pesci d’allevamento, ricambio d’acqua costante). Le autorità assicurano che il paese sottopone le aziende a controlli molto severi di sostenibilità ambientale prima di permettere l’allevamento dei salmoni. Col nuovo governo conservatore le isole Lofoten rimarranno non trivellabili, dopo la presentazione di una petizione largamente appoggiata nel paese e nel 2030 si è posto l’obiettivo di essere carbon free: che la Norvegia stia puntando il suo futuro sull’allevamento di salmone per non dipendere più dal petrolio? Molto probabile.

DA “businessinsider.com”

A cura di M.B.