Energia elettrica dal deserto

Ben 11 paesi africani hanno aderito al progetto sostenuto dalla Banca di sviluppo africana (BAD) per trasformare l’enorme disponibilità di energia solare in corrente elettrica destinata ai paesi della zona frontaliera col Sahara.” Trasformare il deserto in energia”, questo è il motto che porterà a 400 milioni di persone l’energia per attività domestiche, agricole e industriali. Sono stati investiti 9,6 miliardi di euro nel progetto, già in cantiere da anni, che porterà ad una capacità produttiva di energia stimata in 10 mila megawatt. Il responsabile della BAD ha aggiunto che entro il 2020 il 40% del budget di investimenti della banca sarà destinato alle rinnovabili. Ci sono anche illustri partner tra i donatori, ovvero l’Agenzia di sviluppo francese, l’Agenzia internazionale di energia rinnovabile (Irena) ed altri partner del settore privato. L’importanza di agire subito per mitigare gli effetti del cambiamento climatico è data dalle statistiche e dati sulle future migrazioni, che coinvolgeranno centinaia di migliaia di persone nei prossimi decenni in Africa e dunque c’è la necessità assoluta di mettere i cittadini nelle condizioni di poter disporre di energie pulite e materie prime per continuare a vivere nei propri villaggi e scuole dove insegnare a gestire queste nuove fonti di energia.

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di M.B.

Portogallo: l’energia verde supera i consumi

L’Europa macina record nel settore delle rinnovabili, con l’ultimo straordinario risultato conseguito dal Portogallo, dove a marzo la produzione delle sole energie rinnovabili ha superato il consumo di energia elettrica nel paese. La produzione elettrica da fonti rinnovabili ha toccato il suo minimo il 7 marzo, quando ha fornito l’86% dell’elettricità complessiva consumata in Portogallo, e il suo massimo l’11 marzo, quando ha generato una quantità di energia pari al 143% della domanda. Tra le fonti, l’idroelettrico ha soddisfatto il 55% del fabbisogno e l’eolico il 42%. Secondo Apren, l’associazione portoghese per le energie rinnovabili, da cui provengono questi dati, le energie rinnovabili hanno impedito l’immissione di 1,8 milioni di tonnellate di CO2, e addirittura presagisce nel 2040 una copertura totale del fabbisogno energetico portoghese attraverso le energie verdi. Il Portogallo è solo uno degli esempi in Europa: l’eolico, ad esempio, va alla grande in Scozia, dove a maggio scorso ha coperto il fabbisogno energetico del 95%. Per quanto riguarda sempre l’energia tratta dal vento, l’Italia si posiziona al quinto posto con 113 GWh (14,5% della domanda) dopo Germania, Spagna, Francia e UK.

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di M.B.

L’acqua sta per finire in Sudafrica

Dobbiamo a Marco Tedesco, uno scienziato italiano, richiami seri e significativi sul riscaldamento climatico, come quello apparso su La Repubblica del 14 febbraio, sul drammatico rischio di esaurimento delle risorse idriche del Sudafrica. Sulla base delle informazioni fornite da Landsat-8 (l’ultimo di una lunga serie di satelliti lanciati per monitorare lo stato del nostro Pianeta) risulta che circa quattro milioni di cittadini di Città del Capo rischiano di rimanere senza acqua. Si prevede così che il giorno in cui tali residue risorse saranno riservate solo a “ospedali e  strutture di base”, è ormai vicino: “secondo gli esperti, non più tardi di metà di maggio. Infatti la riserva più grande della città, secondo i dati dei satelliti, si è ridotta a un quarto negli ultimi tre anni a causa della riduzione delle piogge in questo stesso periodo. Le conseguenze del razionamento saranno ad ogni livello, in particolare a livello sanitario quando possono verificarsi, specie nel periodo febbraio-maggio, esplosioni “ di germi e malattie ad esse associate che portano a casi di colera, epatite A e tifo legati alle condizioni igieniche”. Tedesco, nel rappresentare tale situazione che testimonia come i processi del surriscaldamento climatico non sono un’opinione ma una terribile realtà, non manca di richiamare l’urgenza conseguente del problema  dei rifugiati climatici e delle vittime dei disastri ambientali, che ancora non vengono riconosciuti, fra coloro che sono costretti ad abbandonate la propria terra.

DA “LA REPUBBLICA”

A cura di D.C.

Mekong: il fiume conteso tra Cina e Sudest asiatico

Il fiume Mekong, le cui piene una volta giungevano naturalmente con l’alternarsi delle stagioni, un fiume pescoso, ora è flagellato dalla siccità e l’inquinamento, sfruttato al massimo attraverso la costruzione di numerose dighe che hanno creato danni all’agricoltura e bloccato le migrazioni dei pesci. I pescatori cambogiani ormai si sono trasferiti in città per lavorare come operai nel settore delle costruzioni, poiché il lavoro che svolgevano i loro antenati da tempo immemore non è più redditizio. Il Mekong è sempre stato conteso per lo sfruttamento idrico, sfondo di guerre e massacri, una storia vissuta per la maggior parte del tempo all’oscuro dell’Occidente, un territorio inaccessibile per buona parte del ‘900 a causa del regime comunista. Il Mekong attraversa Cina, Laos, Thailandia, Cambogia e Vietnam e la sua biodiversità, specie per quanto riguarda i pesci, è superiore anche al Rio delle Amazzoni. Il Mekong lambisce un territorio in cui vivono di pesca e cerealicoltura da millenni mezzo miliardo di persone. Nel 1995 nasce la Mekong River Commission, un forum intergovernativo (il cui parere non è però vincolante) composto da Thailandia, Cambogia, Laos e Vietnam, che ha il compito di discutere la gestione delle acque e lo sviluppo sostenibile. Cina e Birmania agiscono solo formalmente da interlocutori esterni. Da allora è stato un fiorire di forum e organizzazioni per gestire le acque del fiume, ormai diventate strumento di geopolitica. La Cina però è il maggiore finanziatore dei progetti, dunque le discussioni sui progetti avvengono di fatto bilateralmente tra la Cina e la regione o la città interessata dai lavori; la retorica cinese non manca mai di sottolineare l’aspetto di condivisione di queste infrastrutture, nonostante si rifiuti sistematicamente di consultarsi con i paesi non direttamente interessati dal singolo progetto. La gestione delle acque dunque è di fatto in mano alla Repubblica Popolare e gli ambientalisti non ci stanno: il livello del fiume si è abbassato a causa delle dighe fatte costruire dai cinesi, i quali non hanno ascoltato la richiesta fatta dalla Mekong River Commission di valutarne l’impatto ambientale. Le attività tradizionali come la pesca hanno subito un brusco calo e il Laos e il Vietnam saranno i paesi che, essendo più poveri e sottosviluppati, pagheranno il prezzo più alto: fungeranno da “pile” per l’energia idroelettrica del sudest asiatico attraverso la costruzione delle centrali idroelettriche sugli affluenti del Mekong, ma l’energia sarà venduta a Thailandia e Cambogia. C’è da scommettere che la popolazione dei paesi più poveri non trarrà alcun vantaggio dalla situazione, solo la distruzione degli habitat e la scomparsa dei loro mezzi di sussistenza millenari.

DA “LA STAMPA”

A cura di M.B.